Cronaca locale

E ora "rien ne va plus": a Campione tramonta l'epoca di vip e sogni

Con il fallimento dichiarato dal tribunale il casinò del Duce chiude (per ora) il portone

E ora "rien ne va plus": a Campione tramonta l'epoca di vip e sogni

Com'era il Casinò di Campione d'Italia?

«Triste».

Adesso che le roulette in riva al lago non girano più e che il fallimento è ufficialmente sceso sulla casa da gioco voluta da Mussolini nel lembo d'Italia in terra svizzera, per capire come il destino fosse in qualche modo segnato basta parlare con uno che le sue sale le ha frequentate negli anni Ottanta, in quella che viene raccontata come l'epoca d'oro di Campione. L'uomo, all'epoca, faceva il rapinatore: e non era certo l'unico del suo stampo a varcare le soglie del casinò. «Faceva abbastanza schifo, per dirla tutta. Pullulava di cambisti (gli strozzini malavitosi che prestavano soldi ai disperati, ndr) e di gente che si rovinava giocando alla roulette su due tavoli per volta. Nessuna traccia di divertimento né di eleganza, nulla di paragonabile a Nizza e nemmeno a Sanremo».

Eh sì: se in quest'epoca di azzardo on line e di slot machine nei bar, la salvezza di una casa da gioco può stare solo nello charme, in un clima dove il lusso ammorbidisca l'ineluttabile sconfitta, Campione non aveva speranze. Perché l'aura di grigiore che - a partire dall'architettura - si è sempre portato addosso, col tempo non si era spolverata. E anzi s'era fatta quasi plumbea. Il popolo che lo frequentava era peggiorato di conseguenza: una volta da piazza Cadorna partivano due volte al giorno alla volta dei suoi tavoli pullman di impiegati, casalinghe e commercianti (spesso rapinati, e sempre all'andata: al ritorno di soldi se ne trovavano pochi); oggi a viaggiare da Milano a Campione sono i pullman dei cinesi, giocatori storicamente compulsivi, pronti a svuotarsi le tasche e a venire subito dopo spolpati dai cambisti, anch'essi cinesi, che prestano al tasso del 10 per cento giornaliero.

Oggi si rovinano i cinesi come una volta si rovinavano i milanesi, perbene e permale. «A me giocare non è mai piaciuto - racconta il vecchio rapinatore - ma ricordo un impresario di pompe funebri che aveva dilapidato l'intero patrimonio aziendale e si era ridotto a fare il placchista». Cioè? «Teneva la plaque, cioè la fiche, nel palmo della mano e la piazzava sul tavolo della roulette quando la pallina si era già fermata. Il croupier, e spesso anche il direttore, erano complici».

Persino gli spettacoli risentivano di questo grigiore. Quando a Campione arrivò per un concerto Grace Jones, la pantera nera della disco music, un critico definì il ricevimento «da mensa aziendale». Ciò non ha impedito che ai suoi tavoli si rovinassero milanesi di ogni genere, da Stefania Ariosto - la superteste del «caso Previti» - a Claudio Giardiello, quello della strage in tribunale. Né che il Casinò producesse per anni utili stratosferici, arricchendo il Comune-enclave e attirando inevitabili appetiti sporchi: come già nel 2004, quando a cercare di impadronirsene dalle Antille fu il mafioso Gaetano Corallo, padre di quel Francesco poi costato tanti guai al leader di An Gianfranco Fini (e anche lì, guarda caso, c'è in mezzo una storia di gioco d'azzardo). Da Campione sono passati poliziotti corrotti e Lele Mora, giornalisti impeccabili in ansia da premio e mature soubrette in cerca dell'ultimo ingaggio. Con l'accusa di avere reclutato mondane da fornire ai clienti del casinò, in una sorta di «pacchetto completo», finì in galera nel 2006 persino il principe Vittorio Emanuele, su richiesta del pm Henry Woodcock: il Savoia fu poi assolto con formula piena. Ma il suo nome e quello del Casinò, accomunati dal glamour tristanzuolo, bastarono a spedire la notizia in prima pagina.

Campione fallisce perché doveva fallire: nell'elenco delle società municipalizzate più disastrate d'Italia stava ormai al secondo posto, stretto tra la Fiera di Roma e lo Zuccherificio del Molise. D'altronde pare che il Duce l'avesse voluto non tanto per sollevare l'economia locale, quanto per spiare i diplomatici di stanza a Lugano: e si tratta, come dire, di un'esigenza superata dalla storia. Certo dispiace per i campionesi, per i loro superstipendi e le loro superpensioni.

Ma è difficile guardare con nostalgia a una macchina spennapolli che Emilio Fede descrisse così: «Se ero a Milano facevo una telefonata all'ufficio fidi del Casinò di Campione, e quando mi segnalavano un tavolo di chemin de fer divertente, arrivavo lì in mezz'ora».

Commenti