In fabbrica morirono quattro operai: "Non rispettava le norme di sicurezza"

Indagini chiuse sulla "Lamina": datore di lavoro e società verso il processo

In fabbrica morirono quattro operai: "Non rispettava le norme di sicurezza"

Non ha preso le dovute precauzioni nelle propria azienda causando così la morte di tre dei suoi operai e di un elettricista esterno. Per questo, secondo la Procura, Roberto Sammarchi, legale rappresentante della Lamina spa e datore di lavoro delle vittime, deve rispondere di omicidio colposo plurimo. Con l'aggravante di aver violato le leggi in materia di sicurezza sul lavoro. I pm Maria Letizia Mocciaro e Gaetano Ruta, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, hanno notificato l'avviso di chiusura delle indagini a Sammarchi e alla stessa Lamina. Mossa cui seguirà a stretto giro la richiesta di rinvio a giudizio.

I pm accusano Sammarchi di «negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro». L'atto chiarisce anche la dinamica dei fatti che lo scorso 16 gennaio portarono alla morte dei dipendenti dell'azienda metallurgica di via Rho Arrigo Barbieri, Giuseppe Setzu e Giancarlo Barbieri (deceduto in ospedale due giorni dopo) e dell'elettricista della ditta appaltante Saema Impianti Marco Santamaria. La causa delle morti è l'ipossia dovuta al gas inerte argon, molto pericoloso perché in grado di eliminare l'ossigeno dall'aria. Santamaria quel pomeriggio scende per primo nella fossa del forno «Ebner», dove venivano surriscaldate le lamine di acciaio, per una riparazione. Dietro di lui scende Arrigo Barbieri. I due crollano a terra. La vasca infatti è satura del gas letale, che è più pesante dell'aria e si accumula in spazi chiusi a livello del suolo. L'ambiente ha una concentrazione di ossigeno dello 0,2 per cento contro un valore normale che dovrebbe essere del 20,8 per cento. Arriva poi Giancarlo Barbieri, che vedendo i corpi del fratello e del collega sul fondo della fossa, prima dà l'allarme e poi si precipita per dare soccorso. Scende le scale e sviene sopra Arrigo. Infine Setzu, che accorre anche lui per aiutare gli altri e perde i sensi a metà della scala. La colpa dell'azienda e del datore di lavoro consiste, per la Procura, nel non aver valutato correttamente i pericoli e non aver adottato le precauzioni necessarie. «Nel non aver più specificamente valutato il rischio di anossia per contaminazione ambientale con argon», sostituito all'azoto in azienda nel 1992 e ben più dannoso di quest'ultimo. Gli operai inoltre non erano addestrati all'uso di Dispositivi di protezione individuale come autorespiratori o imbragature che facilitano il recupero dei corpi senza dover entrare nella trappola letale. Né erano dotati di adeguata attrezzatura. Ancora: nel non aver installato dispositivi di comando dell'erogazione del gas ben visibili e contrassegnati (sulla valvola c'era ancora scritto «azoto»).

L'erogazione non era comandata in automatico, e quindi bloccata in caso di pericolo, ma solo manualmente con un congegno collocato fuori dalla fossa. Assente infine «un adeguato impianto di ventilazione o di aspirazione».

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