Cronaca locale

Formigoni, arringa per Daccò «In cella senza una sentenza»

L'ex governatore difende l'amico lobbista arrestato quattro anni fa «Cosa indegna per un Paese civile. Io corrotto? Dovrei essere Maradona»

Il triangolo che secondo la Procura governava la sanità lombarda si ricompone nell'aula surriscaldata al pian terreno del tribunale, ieri mattina. Roberto Formigoni, Antonio Simone, Piero Daccò: il politico, l'ex politico, il lobbista. Tutti e tre imputati. Ma i primi due a piede libero, floridi: facondo Formigoni, taciturno Simone. Daccò invece lo hanno portato in aula dal carcere dove è rinchiuso da quattro lunghi anni, magro come un chiodo, apparentemente rassegnato (Come va? «La facciamo andare»). Con l'amico di un tempo, guardato a vista dai secondini, Formigoni e Simone non possono parlare. Ma è alla situazione di Daccò che Formigoni, chiacchierando con i giornalisti, dedica il commento più pesante: «É in carcere da quattro anni senza una sentenza definitiva. Non è un trattamento degno di un paese civile».

Come sia possibile una detenzione preventiva di simile durata, lo spiega l'avvocato di Daccò: l'andirivieni dei processi per la bancarotta del San Raffaele, Daccò che viene condannato mentre i suoi coimputati vengono assolti, la Cassazione che annulla, l'appello che ricondanna contro il parere della Procura, il nuovo ricorso, tutti cascami della saga dell'ospedale di don Verzè. Sulla sorte di Daccò pesa ora anche l'esito di quest'altro processo, quello in corso all'intero sistema della sanità lombarda, insieme a Formigoni, a Simone e a tutti gli altri. Ma sull'esito di questo, ieri Formigoni ostenta ottimismo: «Dopo questa udienza è chiaro che questo processo è nulla».

Cosa è accaduto in aula? Che davanti al tribunale è andato a sedersi Carlo Lucchina, ex direttore generale della Sanità lombarda, anche lui imputato. Alle domande del pm Laura Pedio, ha risposto combattivamente. E quando è arrivata la domanda-chiave: «Ha ricevuto imposizioni dal presidente Formigoni?», ha risposto secco: «Nessuna imposizione». La pm insiste, la risposta non cambia. «Se il parere degli uffici tecnici era negativo, dal presidente le arrivano sollecitazioni per cambiarlo?» «No, anche perché sarebbero state inutili».

Nè imposizioni nè sollecitazioni, dunque. Basta questo a smontare il processo? Per la Procura niente affatto: le risposte di Lucchina dimostrano semmai che tra Formigoni e il direttore generale c'era un asse di ferro per favorire il San Raffaele e la Fondazione Maugeri, ossia la tesi di sempre della Pedio. Le difese sono di tutt'altro avviso. E per Formigoni la deposizione di Lucchina è l'ultimo tassello che mancava per dimostrare l'infondatezza del processo. «Un processo surreale, in cui si mette sul banco degli imputati un sistema sanitario che tutta Italia invidia alla nostra Regione. Adesso che in Regione non ci sono più io, i giornali stranamente si accorgono di come sia efficiente la sanità lombarda. E siccome non è solo la migliore ma è anche quella che costa meno, per riuscire a farci su anche la cresta avrei dovuto essere Maradona».

Resta il problema di quelle decisioni assunte scavalcando i pareri dei tecnici...

«Ma quello è il ruolo della politica, fino a quando non governeranno i robot».

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