Cronaca locale

È già boom di richieste per allargare i dehors. Ira di chi non ha spazio

Da lunedì 200 domande inviate al Comune. I locali senza tavolini all'aperto: "Siamo condannati"

È già boom di richieste per allargare i dehors. Ira di chi non ha spazio

Coprifuoco confermato fino alle 22 e bar e ristoranti aperti a pranzo e a cena ma solo all'aperto. La Lombardia dovrebbe passare in zona gialla da lunedì ma per quasi la metà dei locali milanesi sarà un salto all'indietro rispetto alla vecchia versione di «giallo». Lo scorso primo febbraio quando scattò l'upgrade si poteva consumare il pranzo al chiuso, ora chi non ha il dehor deve rassegnarsi all'asporto o attendere il primo giugno, quando (se i dati dei contagi saranno sotto controllo) si potranno pranzare anche all'interno. Ovviamente è già scattata la corsa a procurarsi nuovi spazi all'aperto o per allargare quelli già in concessione. «Come era prevedibile - conferma l'assessore all'Urbanistica Pierfrancesco Maran - stanno arrivando molte nuove richieste di occupazione di suolo pubblico, che si aggiungono alle 2mila già rilasciate». Da lunedì a ieri il Comune ne ha ricevute 190, quasi 50 al giorno. Nel 2020 ha concesso 1.836 nuovi spazi e 154 da inizio anno, ora si è ricostituita la task force tra Mobilità, Arredo urbano e Urbanistica per velocizzare verifiche e autorizzazioni. «Gli uffici comunali - spiega Maran - sono al lavoro per dare riscontro più celermente possibile e aiutare le tante attività che hanno bisogno di ripartire, nel rispetto delle norme di sicurezza stradale e accessibilità dei marciapiedi».

Alfredo Zini, titolare di un ristorante storico in zona Isola e promotore di varie proteste dei ristoratori da inizio pandemia, ha «70 posti inutilizzabili all'interno» e per la prima volta ha allestito un dehor con 20 coperti ma «è una scommessa, bisogna reinventarsi, aprirò prima la sera per partire con un apericena visto che il governo non ha spostato il coprifuoco alle 23. Ma raccolgo tante proteste, c'è chi ha locali in zone a 50 km all'ora e probabilmente non avrà il permesso per occupare posti auto con i tavolini all'aperto. Se gli spazi sono in sicurezza il Comune deve approvare deroghe e alleggerire la burocrazia, i permessi servono subito». Zini è amareggiato: «Siamo appesi al meteo, la prossima settimana danno pioggia e rischiamo di restare ancora chiusi. Da Stato e Comune aspettiamo aiuti concreti, un taglio dei costi fissi come energia o Tari e incentivi per assunzioni flessibili. Io non ho rinnovato dei contratti a termine ma userei i voucher lavoro a seconda delle giornate e del meteo».

Riccardo Donati, titolare della trattoria storica «Il Cerchio» in via Galvani ha provato a chiedere un'autorizzazione al Comune ma «presumo che non me la darà - dice -, il marciapiede è stretto. Dovremo restare chiusi fino al primo giugno e attendere come i condannati a morte che il premier Draghi ci dica se siamo salvi e possiamo riaprire al chiuso a pranzo». Il suo locale ha 51 anni ma «di questo passo rischio di chiudere, tanti come me. Mi sveglio alle 3 di notte e inizio a cercare soluzioni, siamo disperati». Oltretutto, «la gente non vede l'ora di cenare fuori, calerà anche l'asporto. Dovevano consentirci di usare i tavoli all'interno con distanziamento di un metro, così è peggio della vecchia gialla». Ammette che tanti per sopravvivere sfruttano le deroghe al limite della legalità, come quella che anche in zona rossa consente di rimanere aperti per fare servizio mensa. Ma «fanno firmare un contrattino a qualche studio legale o ufficio, senza le norme del caso da rispettare, è un normale servizio ristorante».

L'assessore regionale alle Attività produttive Guido Guidesi, leghista, chiede al governo di «rivedere con buonsenso le scelte spostando il coprifuoco alle 23 e consentendo ai locali di lavorare anche all'interno, a pranzo e a cena, usando i protocolli già previsti».

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