Cristina Bassi
Una spy story uscita dall'aula dei processi per direttissima? Di certo la vicenda del misterioso iraniano approdato a Milano, con tre identità e due passaporti (falsi) ha molti punti oscuri. E qualche risvolto da romanzo giallo.
Il giovane, 30 anni, atterra a Malpensa lo scorso 20 agosto. È passato dalla Turchia ed è diretto a Londra. Durante lo scalo nell'aeroporto italiano mostra il passaporto alla polizia di frontiera. Il documento è francese, ha la sua foto, ma desta più di un sospetto. Gli agenti quindi convocano un interprete francese. Quest'ultimo però non riesce a comunicare con il viaggiatore, che non parla la lingua di Victor Hugo. Dopo ulteriori verifiche il 30enne viene denunciato a piede libero per il documento non autentico e lasciato andare.
A questo punto l'uomo non può proseguire il viaggio per l'Inghilterra, così viene a Milano e si rifugia nell'ostello di via Salmoiraghi, a QT8. Per la registrazione esibisce la fotocopia di un altro passaporto, spiegando che l'originale gli è stato rubato in stazione Centrale. Pochi giorni dopo, il 29 agosto, nella struttura arriva un pacco dalla Grecia a lui destinato. Il portinaio sente puzza di bruciato e lo apre. Dentro c'è un terzo passaporto, questa volta rilasciato dalla Polonia e intestato a un cittadino polacco nato in Germana. Siccome il giovane si era presentato al personale dell'ostello come iraniano, i gestori chiamano la polizia. L'iraniano dunque (pare sia questa la sua reale nazionalità) viene arrestato con l'accusa di possesso di documenti falsi validi per l'espatrio. Gli investigatori collegano i suoi due tentativi di celare la propria identità e nell'atto di convalida dell'arresto il gip riporta i dubbi degli inquirenti sulle reali intenzioni dello strano turista.
Ha qualcosa a che fare con il terrorismo? È una spia, seppure un po' maldestra? È in fuga da qualcosa o qualcuno? A far riflettere è soprattutto il fatto che il giovane è riuscito a procurarsi due passaporti contraffatti, con la sua foto, in meno di dieci giorni. Non un'impresa alla portata di chiunque. Ieri l'udienza per direttissima, dove a rappresentarlo c'è l'avvocato Antonio Nebuloni. L'iraniano parla un ottimo inglese, di chi ha viaggiato o ha studiato all'estero. Dice di essere originario di Shiraz, antica capitale della Persia, e di essere un ingegnere meccanico ma di lavorare nella compravendita di automobili. Alla domanda del giudice non è però in grado di quantificare il proprio reddito. «Mi sono da poco convertito al cristianesimo - racconta - e nel mio Paese sono perseguitato. Sono scappato. Se rimanevo lì, rischiavo la pena di morte». Neppure tale versione convince in pieno. Il processo è stato rinviato al 22 settembre, il 30enne ha spiegato che viste le circostanze preferisce rientrare in patria. «Devo prima contattare i miei genitori - aggiunge -, capire se la polizia mi ha cercato a casa.
Se corro ancora rischi». Nel frattempo si trova in carcere e la polizia proverà a chiedere di lui al consolato iraniano. Senza aver accertato le sue generalità e senza un documento valido non sarà possibile neppure rimpatriarlo.
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