Gillo Dorfles l'inesauribile: «Vi presento il mio Vitriol»

In mostra i disegni di un personaggio inventato dal critico centenario nel 2010: «L'arte? Non finisce mai»

Simone Finotti

Tra pochi mesi Gillo Dorfles compirà 107 anni. Ma lo spirito è quello di sempre: «Ognuno deve costruirsi il suo Vitriol», ha detto ieri in Triennale, dove fino al 5 febbraio è aperta l'omonima mostra dedicata all'emblematico, curioso personaggio uscito dalla sua inesauribile matita nel 2010 per dare forma alla nostra inconscia, infinita ricerca di senso. E pensare che quando nacque, il 12 aprile 1910, la sua Trieste faceva ancora parte dell'Austria- Ungheria, Italo Svevo non vi aveva ancora ambientato la Coscienza di Zeno e Umberto Saba vi pubblicava i primissimi versi. A Milano, che del critico-artista è città d'elezione, esordiva all'Arena la Nazionale di calcio e un certo Filippo Tommaso Marinetti, di cui Dorfles può vantare la conoscenza personale, aveva da poco firmato il suo Manifesto futurista. Un'età così fa sempre notizia, anche se la notizia, oggi, è che, a dispetto del suo secolo e passa, Dorfles è ancora capace di stupirci. Dopo la mostra «La logica dell'approssimazione», ospitata alla Permanente in occasione della XXI Triennale (per la cronaca: quando nel 1923 partì la kermesse Dorfles era un baldo tredicenne), ecco esposti in viale Alemagna il dipinto originale di Vitriol e 18 disegni inediti, caratterizzati da una forte carica inconscia. Non solo un personaggio di fantasia: c'è molto di più. Non sfuggirà ad esempio l'acronimo dal sapore esoterico: molto caro agli alchimisti, sta per «Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem», vale a dire «Visita l'interno della terra e, con successive purificazioni, troverai la pietra nascosta». Che poi è la cura, la vera medicina dei nostri mali profondi. A parlare è il Dorfles medico e psichiatra, attento lettore di Goethe, Jung e Rudolf Steiner, che dialogando con i curatori Aldo Colonetti e Luigi Sansone spiega come «attraverso la figurazione, molto spesso si riesca ad andare al di là della propria conoscenza cosciente». In questo senso le opere esposte possono, e devono, essere viste e lette come capitoli di una storia che è un viaggio alla ricerca della «pietra nascosta».

Un saggio filosofico in cui la tecnica altro non è che un mezzo, un puro strumento capace di dare visibilità e concretezza al pensiero occulto, a quei moti dell'inconscio che rimangono appena fuori dalla soglia della razionalizzazione. «La ricerca della Pietra filosofale - ha detto- è quella del mistero che sta alla base della vita. Come vedo la mia? Una pietra piccola, poco pesante».

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