Il 26 giugno 2014, la Gdf intercetta il telefono di Silvana Bini, giudice del Tar della Lombardia. Insieme al collega Fabrizio Fornataro, è uno dei magistrati che ha dato il via all'inchiesta contro Adriano Leo, presidente della terza sezione del Tar, che i colleghi accusano di avere falsificato la sentenza sugli aiuti de Comune a Sea Handling. La Bini spiega a un'amica di essere in procinto di spostarsi in un'altra sede: «Ho chiesto io il trasferimento perché ho avuto un presidente deficiente, è corrotto, l'ho denunciato e infatti lui adesso sta avendo dei problemi. Però siccome non ho avuto una grandissima solidarietà a Milano...».
L'accusa a Leo di essere un «corrotto» non viene ripetuta dalla Bini al pm Roberto Pellicano, quando viene interrogata come testimone nel processo a carico di Leo. Ma la dottoressa va giù pesante comunque, quando racconta dello strano andamento dell'udienza del 22 giugno 2013, quando il Tar decise di accogliere il ricorso del Comune, salvando Sea Handling. «Avevamo appreso che vi era il ricorso che il presidente Leo si era autoassegnato disattendendo i criteri automatici (...) Ritiratici in camera di consiglio il presidente Leo estrasse un foglio scritto a mano che cominciò a leggere, che era nella sostanza una motivazione del provvedimento incentrata sulla necessità di sospendere la decisione della Commissione Europea. Il collega Fornataro contestò da subito il metodo obiettando che era corretto occuparsi del provvedimento nazionale, il solo oggetto di ricorso. La reazione del presidente fu piuttosto irritata, al punto da interrompere la discussione (...) è risultato evidente che Leo fosse arrivato in camera di consiglio con una decisione preconfezionata ed una motivazione già scritta da sè o da altri». Conferma il giudice Fornataro: «Leo si è presentato in camera di consiglio con questo foglio manoscritto del quale diede lettura. Ripeto che era un brogliaccio di motivazione già scritta, non ho fatto caso se potesse corrispondere alla grafia del dottor Leo o meno. Posso dire, sebbene sia per me doveroso rimarcare che si tratta di una impressione, che Leo non fosse l'autore di quel documento».
La proposta di Leo di bloccare il provvedimento della Ue viene respinta dai due giudici a latere, ma ricompare nel dispositivo che il presidente deposita il giorno dopo: che recepisce in pieno il contenuto del «brogliaccio», sollevando l'indignazione dei due magistrati, che fanno partire una lettera di dissociazione. Ma chi ha scritto davvero la sentenza preconfezionata che dà ragione al Comune? Negli atti dell'inchiesta, c'è solo una traccia della curiosità degli inquirenti per capire se Leo si fosse limitato a portare in camera di consiglio un testo preparato da altri. É la domanda che il pm Pellicano rivolge al giudice Domenico Giordano, presidente di un'altra sezione del Tar, sentito come testimone: «Ha motivo di ritenere anche sulla base di eventuali informazioni raccolte presso i colleghi o presso addetti ai lavori che la motivazione del provvedimento di sospensione possa essere attribuita a autori diversi da Leo?», chiede il pm. «No, non ho alcun elemento per affermare ciò», ribatte Giordano. E la pista si ferma lì.
L'indagine è andata avanti invece su quello che per la Procura è alla fine un dato certo: Leo depositò
un «dispositivo difforme», una sentenza diversa da quella stabilita in camera di consiglio, annullando il provvedimento europeo che bocciava gli «aiuti» alla Sea, anzichè limitarsi a bloccare il decreto del nostro governo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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