Glennie e i suoi ritmi: la percussionista che sente con il corpo

La musicista sorda dall'infanzia si esibisce al Teatro Fontana. Con lei il pianista Smith

Glennie e i suoi ritmi: la percussionista che sente con il corpo

MiTo, una star delle percussioni questa sera dalle ore 21 al Teatro Fontana. Lei si chiama Evelyn Glennie. Segni particolari: è sorda dall'infanzia. Domanda: come fa a suonare? Percependo ed esprimendo ciò che non può più sentire attraverso il movimento, disegnando quindi i contorni del ritmo nello spazio. Vederla, oltre che ascoltarla, è dunque un'esperienza speciale. Una storia davvero particolare, la sua. Superando ogni possibile pregiudizio e aspettativa, questa musicista di origini scozzesi è diventata una delle maggiori virtuose di una famiglia di strumenti variegata e complessa qual è quella delle percussioni. Ha imparato ad ascoltare la musica in modo diverso, lasciando che il ritmo fluisse attraverso il corpo e penetrasse in ogni fibra come in una danza infinita. Ma veniamo al programma del concerto di oggi.

La sua esibizione in duo con il pianista Philip Smith si apre con un lavoro di un'altra pioniera delle percussioni, sua grande fonte d'ispirazione, Keiko Abe, virtuosa della marimba. La Glennie le rende omaggio eseguendo uno dei suoi lavori più conosciuti, «Prism Rhapsody» (1955) per marimba e orchestra di fiati, e pubblicata subito dopo anche in una versione con pianoforte. L'improvvisazione riveste un ruolo importante nel lavoro, così come l'ebbrezza del virtuosismo, che significa giostrare a velocità supersonica con le bacchette, impugnate a due per mano, cadendo sui listelli con precisione chirurgica. Di natura concertante, «Prism Rhapsody» presenta uno spiccato carattere dialettico con un pianoforte che si ricorda d'essere anch'esso strumento a percussione. Un altro pezzo in scaletta.

Compositrice anche lei, nel 2011 la Glennie scrive «Orologeria Aureola», col compositore Philip Sheppard. Il titolo richiama l'idea di un congegno meccanico, in cui il disegno ritmico intrecciato di pianoforte e halo, uno strumento di latta a forma di coperchio con ammaccature prodotte ad arte per intonare il suono, si propaga con una specie di moto perpetuo. Sullo sfondo, una melodia al violoncello, registrata su nastro. E ancora.

La musica del londinese James Keane, sempre straripante di energia, è molto spesso incanalata in forme coreografiche, come nel caso di «Piece of Dance», scritto nel 2016 per lo spettacolo Desappearing Acts della compagnia Flexer & Sandiland. Nella performance coreografica, il lavoro era eseguito dal vivo da Evelyn Glennie, che poi ha deciso di mantenerlo in repertorio anche in forma di concerto. La partitura di Having Never Written a «Note for Percussion» (1971) del compositore americano James Tenney, esponente di spicco del Fluxus, riflette una concezione di virtuosismo che ha a che fare con la capacità di dominare ogni singolo muscolo del proprio corpo, quasi un «virtuosismo dell'autocontrollo». La pagina è contenuta in una cartolina postale spedita al dedicatario, il percussionista John Bergamo, che si vide arrivare un semplice rigo con una nota ribattuta, da eseguirsi con una forcella molto lunga - di crescendo dal nulla al «ffff» per poi tornare al silenzio di partenza.

Il rapporto tra percussioni e pianoforte suscita altre riflessioni nel lavoro di Nebojsa Jovan Zivkovici, percussionista e compositore tedesco di origine serba. «Quasi una Sonata op.

29» (2001) commissionato dalla Glennie alludendo sin dal titolo a una celebre Sonata di Beethoven, mette in luce il rapporto problematico della scrittura per due strumenti, percussioni e pianoforte, per molti aspetti affini, ma con una storia completamente diversa alle spalle.

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