La guerra nascosta degli scout cattolici di Milano

Da oggi nelle sale «Aquile randagie» sui ragazzi che si ribellarono all'occupazione nazista

Stefano Giani

Erano i ragazzi del Ventennio, quelli che con i Balilla non avevano nulla a che fare e, al Duce, risposero picche. Erano giovani di chiesa, spiazzati dalla decisione del governo fascista che aveva abolito ogni associazione. Perfino la loro. Gli scout. In Italia, sono 200mila, allora molti meno ma non si sottomisero allo scioglimento. E cambiarono nome. Divennero Aquile randagie, che è anche il titolo del film di esordio alla regia di Gianni Aureli, in uscita oggi nelle sale, evento speciale per tutta la settimana.

Negli anni Trenta Milano è come appare nei fotogrammi che descrivono le attività dei sacerdoti in una città che ha paura dello squadrismo. Ne è vittima. È una storia di spionaggio e di ricostruzione sociale quella che esce dal racconto di Aureli in cui preti e ragazzi trovano una valvola per difendere i deboli. Aiutare i ricercati ebrei a evitare i treni verso i lager tedeschi. Soccorrere le vittime delle rappresaglie naziste dopo l'armistizio dell'8 settembre. E continuare - da laici o da talari - la missione di pace di ogni uomo.

L'associazione scout cattolici divenne appunto «Aquile randagie» che trovarono nei prati della val Codera un punto strategico per organizzare le missioni di soccorso e indirizzare verso la Svizzera chi era nel mirino delle deportazioni. Furono missioni realmente umanitarie che non discriminarono perseguitati e persecutori. Se i civili venivano aiutati a trovare un futuro di pace lontano da un Paese in preda alla furia nazista, gli ufficiali di Hitler venivano scortati fino alla consegna nelle mani alleate per un processo giusto ai crimini da loro commessi.

Niente vendette indiscriminate, guerre incrociate e torti contraccambiati. Il perdono cristiano è lontano dalla legge del taglione e mostra la sua onestà anche quando le staffette degli scout vengono assassinate dai tedeschi. C'è un tempo per la lotta e uno per la pietà, in una prospettiva inedita che fa luce su uno spaccato di storia che i libri non raccontano.

Al film di Aureli, girato con attori non professionisti, si perdoni se il cardinal Schuster, allora arcivescovo di Milano, non è somigliante all'originale come un giovanissimo Giovambattista Montini, futuro Paolo VI. Al crocevia tra opera di finzione e documentario, Aquile randagie illustra con modestia non falsa le pieghe finora taciute.

E in tanta emergenza e precarietà forse qualcuno potrà riconoscersi e rivivere sensazioni costate care. Perché Milano fu anche questo. Una città resistente che non necessariamente si accodò a chi tentò di sostituire un regime, favorendo la nascita di un satellite in più nell'universo comunista.

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