Cronaca locale

I giudici: "Brega Massone non voleva uccidere i pazienti che ha operato"

I motivi della cancellazione dell'ergastolo all'ex primario: "Non è cinico e insensibile"

I giudici: "Brega Massone non voleva uccidere i pazienti che ha operato"

Pier Paolo Brega Massone e Pietro Presicci non volevano uccidere i loro pazienti. Per questo l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, che aveva retto nei precedenti processi, è stata riqualificata nel meno grave omicidio preterintenzionale. Escludendo inoltre l'aggravante della finalità di lucro. Da qui la condanna a 15 anni di carcere al posto dell'ergastolo per Brega Massone e a 7 anni e 8 mesi invece di 24 anni e quattro mesi per Presicci decisa lo scorso ottobre nel processo di Appello «bis» dopo il rinvio della Cassazione.

Al centro del processo c'era la morte di quattro pazienti (due per Presicci) dopo gli interventi eseguiti dall'ex primario e dal suo ex braccio destro nel reparto di chirurgia toracica dell'allora clinica Santa Rita. Secondo l'accusa, quelle operazioni erano inutili o dannose, fatte solo per ottenere il massimo dei rimborsi dal Servizio sanitario nazionale. Nelle motivazioni della sentenza i giudici della Corte d'assise d'appello, presieduta da Giuseppe Ondei, spiegano che l'attività istruttoria non ha trovato «le prove di un atteggiamento psichico, condiviso da entrambi gli imputati, espressione di una loro scelta razionale» che comportasse la morte dei pazienti. Manca, secondo la Corte, «l'elemento volontaristico» essenziale per riconoscere il dolo. Il nesso causale tra gli interventi chirurgici e la morte dei pazienti è dato per dimostrato. Tuttavia, ammesso che Brega Massone, dipinto «con la massima severità come individuo» nei processi, fosse stato mosso da ricerca di fama o megalomania, «in ogni caso la morte del paziente è sempre per il medico un fallimento (...) destinato - soprattutto se sfrontatamente ripetuto - a soverchiare vanificandolo l'obiettivo egoistico perseguito». Aggiungono i giudici: «Nessuna prova tra quelle raccolte consistite in pareri medico-scientifici, (pochissime) voci processuali di congiunti, dichiarazioni degli imputati (difesisi, a tratti con rabbia, con veemenza, con il furore di chi reputa di essere un capro espiatorio ma soprattutto con argomenti tecnici e scientifici, chiamando a riscontro la letteratura specialistica), esiti di intercettazioni telefoniche, ebbene nessuna delle prove disponibili supporta l'ardita tesi di morti volontarie per i signori Schiavo, Scocchetti, Vailati e Dalto, ovvero del loro decesso accettato e messo in conto come tale».

Infine: «Questa Corte non ritiene di negare le attenuanti generiche per asserite (ma indimostrate) insensibilità verso i malati, per un (indimostrato) cinismo dell'animo desunto da supposte espressioni dispregiative usate nei torrentizi colloqui telefonici (pur tali essendosi intese - sbagliando - talune locuzioni, non elegantissime, se ne conviene, ma piaccia o non piaccia, tipiche di un certo lessico, per convenzione semantica)». Questo perché «i medici, tutti medici non solo l'imputato, parlano per zone anatomiche trattate e non riferendosi al paziente come persona. E non è certo l'uso di vocaboli urticanti per chi ascolta a distinguere la professionalità dall'incompetenza».

Così Nicola Madia, difensore dell'ex primario: «Finalmente ci sono giudici che riconoscono l'abnormità di ciò che era successo fino a qui».

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