Cronaca locale

«I giudici imparino a farsi giudicare»

Dalla presidente del Tribunale Livia Pomodoro l'unico atto d'accusa a una categoria che attacca politica e sentenze

«I giudici imparino a farsi giudicare»

Quando Giovanni Canzio, presidente della Corte d'appello, prima di dichiarare aperto l'anno giudiziario le dedica un lungo ringraziamento, Livia Pomodoro si alza, visibilmente commossa, mentre i magistrati applaudono. Per lei, che il 21 aprile andrà in pensione, è l'ultima cerimonia. E coglie l'occasione per strigliare con franchezza i colleghi che sta per lasciare. Nel messaggio con cui accompagna il bilancio del tribunale che ha presieduto per sette anni, manda ai magistrati, «anche ai loro più illustri rappresentanti», un invito chiaro: fatevi giudicare, come chiunque, perché la giustizia è un pezzo della società e alla società deve rendere conto. «Ancora oggi purtroppo prevale la convinzione che solo la Giustizia può valutare la Giustizia, come se il nostro mondo fosse scevro da corporativismi ed opportunismi, come se fossimo gli unici esenti dalla necessità di attivare forme di valutazione esterne, perché i magistrati sono in grado di svolgere qualsiasi lavoro e qualsiasi ruolo compreso quello di valutare se stessi. Una idea di autosufficienza foriera di gravi danni per la giustizia italiana».

Livia Pomodoro si augura che nel nuovo anno i giudici, grazie anche al ricambio generazionale, sappiano «abbandonare definitivamente alle nostre spalle tradizioni e comportamenti finalizzati solo alla salvaguardia delle proprie rendite di posizione». Se i magistrati milanesi sapranno cogliere l'appello, lo si vedrà nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Di certo, quello che viene annunciato ieri nel corso della cerimonia a Palazzo di giustizia è un impegno del governo che - se verrà messo in pratica - toglierà di mezzo uno degli alibi più ricorrenti per l'inefficienza della giustizia milanese, per i «fallimenti e le criticità» di cui parla la Pomodoro, ovvero l'assenza di risorse, la carenza di giudici: il viceministro della Giustizia, Enrico Costa, annuncia che entro l'Expo arriveranno in città 37 nuovi magistrati, sparsi tra procure e uffici giudicanti. Anche se in platea qualcuno brontola e si mostra insoddisfatto, non è un impegno da poco, perché equivale all'intero organico di un tribunale minore.

Basterà a risolvere i «fallimenti e le criticità»? Dovrebbe. Anche perché la tendenza complessiva, stando alle statistiche contenute nella relazione di Canzio, è già oggi ad un progressivo miglioramento, tanto che i ricorsi per la «irragionevole durata dei processi» a Milano sono stati solo cinquanta. Nella giustizia civile, la grande malata del sistema, in un anno le cause arretrate sono scese del 15 per cento, e la durata media di un processo è scesa a due anni e quattro mesi, che salgono a due anni e mezzo per le cause di lavoro. E questo nonostante che la domanda di giustizia continui a crescere soprattutto in alcuni settori: sono sempre di più i milanesi che si separano (il 13,8 in più dello scorso anno) e che divorzino (più 12,50), e una vera impennata, che andrebbe investigata, sono le liti sui brevetti (più 73,8 per cento). E anche nel settore penale la cura di efficienza imposta da Canzio, sfidando qualche mugugno, sembra avere dato i suoi frutti: nel 2014 la Corte d'appello ha chiuso 9.297 processi, con un aumento addirittura del 26 per cento rispetto a due anni fa. All'interno di questo dato emerge con chiarezza qual è il vero reato «boom» di questi anni: lo stalking. Un po' perché è un reato introdotto da poco, un po' perché i casi aumentano, un po' perché cresce la tendenza a sporgere denuncia: sta di fatto che la Corte d'appello ha emesso l'anno scorso ben 171 sentenze in processi per «atti persecutori», il 76,29 per cento più del 2013.

Certo, dai giudici ci si aspetta non solo che lavorino tanto ma anche che lavorino bene, cioè che - nei limiti del possibile - emettano la sentenza giusta. Anche su questo punto Canzio sembra soddisfatto del bilancio: la Cassazione ha annullato il 16,9 per cento delle sentenze penali milanesi contro cui gli imputati o la procura avevano fatto ricorso. É un tasso che al comune cittadino può sembrare abbastanza alto, ma che la relazione considera fisiologico, e comunque in miglioramento rispetto agli anni passati.

In miglioramento risulta anche il punto d'approdo finale della giustizia penale, cioè la situazione nelle carceri di Milano e del suo distretto. Complessivamente, alla fine del 2014 vi erano detenuti 6.192 detenuti, quasi settecento in meno di un anno prima.

Rimangono situazioni gravi di sovraffollamento, in particolare nelle prigioni di Como, Lodi, Vigevano, Busto Arsizio e San Vittore, ma in altre strutture, grazie ai provvedimenti «svuotacarceri» del governo e all'apertura di nuovi reparti, ci si sta avvicinando a garantire gli spazi vitali cui i detenuti hanno diritto.

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