Concordia, Unione, Vittoria: si chiamavano così i vecchi stabilimenti della Falck, i nomi dellutopia paternalistica della fabbrica-paese, quella che accompagnava i suoi operai dalla scuola al cimitero mentre il nerofumo impestava loro i polmoni. Non erano in tanti a diventare vecchi, al villaggio Falck. Tanto da rendere quasi simbolico, quasi una chiusura del cerchio, la prospettiva che si apre da ieri con la decisione della Regione: sarà qui, nella sterminata area della vecchia e malsana acciaieria, che sorgerà la Città della salute voluta dalla Regione per riunire Istituto dei tumori e Besta. Dai treni che una volta scaricavano alla stazione di Sesto San Giovanni i pendolari dellacciaieria, gente che si alzava nel cuore della notte per essere ai forni allurlo della sirena, tra qualche anno scenderanno nella stazione rifatta i pendolari della speranza, i pazienti, i loro familiari, i loro sogni di guarigione.
É stata, come è noto, una scelta tormentata. Sesto San Giovanni si è schierata compatta, da sinistra a destra, a fare lobbing perché Formigoni scegliesse larea Falck. E altrettanto trasversalmente i sestesi hanno accusato Giuliano Pisapia e la sua giunta, che remavano per portare invece il progetto a Baggio, di egoismo milanocentrico. «Per Milano - dicevano - avere la Città della salute sarà anche importante. Per Sesto è vitale». Esageravano? Forse no. Perché nessun altro posto in Italia e forse in Europa ha subìto una implosione brusca come quella di Sesto. Un apparato industriale costruito in un secolo e mezzo si è disintegrato in meno di dieci anni, lasciando la città sorta intorno alle fabbriche alle prese con problemi colossali di occupazione e di identità, ma soprattutto con un interrogativo angosciante: che fare delle immense aree dismesse, come reinventarsi in un futuro dove non solo la fabbrica ma anche il terziario sembra appartenere al passato?
Basta volare dallalto, grazie ai satelliti di Google, sulla planimetria di Sesto per rendersi conto dellimmensità del problema. Quelle chiazze grigie e verdi che occupano mezza città erano la Breda, la Ercole Marelli, la Falck. Che farne? Sui progetti di recupero si sono incrociati, come è noto, speculazioni e tangenti. Personaggi improbabili si sono candidati di volta in volta a compiere il miracolo della riconversione, e sono stati inghiottiti dai debiti prima ancora di cominciare. Così quando sulla scena è arrivato Davide Bizzi, taciturno manager del mattone formatosi tra lEstonia, Cuba e New York, allinizio i sestesi hanno guardato anche lui con diffidenza. «Non tocca a noi sceglierci i padroni», fu il massimo di espansività concessa dal sindaco Oldrini al nuovo arrivato.
Poi, un po alla volta, il piano ha preso forma. I progettisti di Bizzi accompagnavano le troupe sotto le campate del T5, alte come una cattedrale. I plastici di Renzo Piano alternavano palazzoni e laghetti. Ma che il progetto fosse economicamente sostenibile non tutti ci mettevano la mano sul fuoco. Vabbè che dietro Bizzi cera un po di tutto, le banche, i coreani, le cooperative rosse. Ma in tempi di crisi, dove avrebbe trovato i soldi e gli inquilini per una città da un milione di metri?
Così quando la Regione ha lanciato lappello per trovare una sede alla Città della salute, sia Bizzi sia i sestesi hanno capito al volo che era il tassello che mancava per tenere su il progetto: un intervento pubblico da centomila metri quadri, un volano formidabile che inizierebbe a cambiare la faccia della vecchia Falck, portando strade, collegamenti, alberghi. Bizzi lo ha detto subito: «É ovvio che una struttura di eccellenza come questa aiuterebbe lo sviluppo di tutto il progetto». E ancora più rapido è stato lex sindaco Oldrini, che ha portato alla Regione larea verde che Bizzi doveva regalare a Sesto: chi se ne frega dei giardinetti, se volete i terreni per la Città della salute eccoli qua.
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