Cronaca locale

L’eterna leggenda del «Rocky Horror»

L’eterna leggenda del «Rocky Horror»

«Non mi chieda il motivo del successo, perché non lo so». Antonio Sancassani, lo storico titolare del Mexico, in via Savona 57, la più celebre delle quattro monosale rimaste a Milano, sembra uomo di poche parole, ma venerdì 1° giugno la soddisfazione per l'ennesimo sold out dell'ultima proiezione di stagione del Rocky Horror Picture Show gliela leggevi negli occhi. Si riparte a ottobre, e saranno 32° anni consecutivi di programmazione. «In questo trentennio 350mila persone sono passate per il film, quattro volte S. Siro» dice. Falsa modestia di un uomo che di falso non ha nulla o, piuttosto, genialità ancora sorpresa di sé? Magari è il film. Ma non basta, perché tanti cinema in tutta Italia c'hanno provato, ma solo il Mexico ha raggiunto un simile record. Nel mondo, quattro unici precedenti: a New York, Londra, in Francia e Germania. 285 i posti in sala e per ogni venerdì sera, l'unico giorno della settimana riservato al musical, bisogna prenotarsi la settimana prima, sennò arranchi a trovarne uno libero. I numeri di un colpo di genio. Inizio previsto alle 22, ma coda all'ingresso già dalle 21,30, composta da campioni di ogni umanità. «È la mia prima volta - dice Denise, 20 anni, insieme a una coetanea - Mio papà l'aveva già visto e mi ha detto di andare, perché secondo lui su Milano è uno spettacolo unico». Prima volta, del resto, per tanti. Poi, ci sono gli habitueè, che riconosci dal travestimento. Marta, per esempio, occhiali, parrucca e t-shirt con tanto di bocca rossa di strass ricamata in perfetto Rocky Horror's style è alla sua sesta volta: «L'ho visto una prima due mesi fa e non ho più smesso: torno ogni venerdì». Per chi non c’è mai stato, in effetti, l'esperienza è unica. Alle 22,15 inizia un vero e proprio show, con un corpo di attori professionisti che rifanno il verso a quelli del film. La proiezione inizia poco prima delle 23, con gli attori che, spalle allo schermo, ricalcano sul palco tutte le scene proiettate. Il pubblico, totalmente interattivo, canta, balla, a tratti si alza e applaude con loro. Sincero, divertito. Passata la mezzanotte, gli spettatori sciamano via, quasi rammaricati perché il cult è finito e poi, in questo caso, perché per tutta l'estate non lo rivedranno più. Un trionfo, a tutti gli effetti, che è valso al cinema nel dicembre 2011, unico caso in Italia, l'Ambrogino d'Oro per cultura e spettacolo. Ma il Mexico è Sancassani. «Mai fatto parte di nessun circuito, perché voglio restare indipendente - spiega l'esercente settantaquatrenne - Se mi piace un regista, che magari non ha trovato distribuzione, gli dò spazio e basta, lasciandolo in cartellone tutto il tempo che il pubblico vorrà, l'unico a cui dò retta». Niente dictat dalle Majors, insomma. Ora, in programma c'è il bellissimo «Maledimiele» di Marco Pozzi e, prima di lui, per ben due anni c'è stato «Il vento fa il suo giro» di Giorgio Diritti, opera prima del regista, allora sconosciuto, poi arrivato al David di Donatello con «L'uomo che verrà», proprio grazie a Sancassani e alla visibilità conquistata al Mexico. E così: ogni lunedì film di un autore indipendente, che spesso interviene alla prima con gli attori, come nei festival, giovedì film in lingua originale, venerdì il «Rocky». Ricetta di un successo che ha salvato il Mexico dalla chiusura, destino riservato, invece, a quasi tutte le altre monosale milanesi. Per Paschirolo, Corallo, Mediolanum, Mignon, il Durini, Brera 1 e Brera 2, Metro Astra, President, Manzoni, infatti, negli anni un'ecatombe. Oggi in centro sono rimaste solo due multisale, l'Odeon e l'Apollo, mentre di monoschermi appena quattro: l'Ariosto, il Palestrina, l'Arlecchino e proprio il Mexico. Ma qui c'è Sancassani, uomo di fiuto e sensibilità rara, 40 anni sul campo, una passione esplosa a 14 anni nell'unico cinema di Bellagio, suo paese d'origine, che l'ha portato negli anni 80 a rilevare questa che oggi è la sua vera ragione di vita. «Chiudere? - confessa acuendo lo sguardo - So che un giorno toccherà pure a me.

Però vorrei essere l'ultimo».

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