Emanuele Monti, presidente della Commissione sanità, dalla ricerca del Boston Consulting Group «Il nuovo paradigma nella somministrazione delle cure sanitarie» emerge come il sistema sanitario sia a un punto si svolta. Gli italiani, che erano abituati a percorrere lunghe distanze per essere curati, non sono più disponibili a spostarsi e nel 70 per cento dei casi preferiscono essere curati in luoghi a «intensità di cura» minore. Va in questa direzione la riforma della legge 23 in discussione in consiglio regionale, che prevede Case e ospedali di comunità...
«La Lombardia è la prima regione a stanziare le risorse del PNRR e modificare il proprio impianto normativo per integrare le case di comunità. E lo fa mettendoci dei soldi: all'1,2 miliardi di euro previsti dal PNRR la Regione ha aggiunto 800 milioni».
In cosa consistono esattamente?
«Intanto abbiamo la collaborazione di tutti i professionisti che operano sul territorio. La casa di comunità si cala in un distretto, i nuovi distretti sono uno per 100mila abitanti, le case di comunità saranno due per distretto e collaboreranno secondo due livelli di complessità: hub e spoke».
Chi ci lavorerà?
«Nelle case di comunità ci saranno i medici di medicina generale che sceglieranno di lavorare insieme creando una sorta di ambulatorio, infermieri di famiglia, pediatri di libera scelta, figure legate alle professioni sanitarie, finora trascurati, come ostetriche, tecnici della radiologia, e figure più tecniche che potranno fare da collegamento ospedale - territorio. Ci saranno anche i consultori. Non solo, gli specialisti ospedalieri dovranno riservare delle ore che dedicheranno agli ambulatori nelle case di comunità».
Un modello di sanità di prossimità: per le viste generali e specialistiche quindi non sarà necessario recarsi in ospedale.
«Sì perchè la case di comunità ricorreranno a telemedicina, telemonitoraggio, teleassistenza, teleconsulto. Non abbiamo voluto guardare al modello delle case di comunità emiliane che non sono altro che grandi poliambulatori con medici che lavorano in forme integrate, ma a modelli Nord europei, molto più avanzati dove la rarefazione della popolazione per chilometro quadrato necessita di stressare le nuove tecnologie, il collegamento a distanza».
Per quanto riguarda la digitalizzazione un altro elemento che emerge con forza della ricerca è l'utilizzo della telemedicina. Il 53 per cento dei pazienti considera la telemedicina molto più rilevante dopo il Covid e il 90 per cento ritiene che permetta di risparmiare tempo e soldi.
«Uno dei punti fondamentali della legge è proprio la digitalizzazione dei servizi, per cui si impone la creazione di un Cup unico regionale digitale per le prenotazioni. Sul territorio vogliamo lavorare sul back end cioè sulle strutture di lavoro dei medici di base migliorando per esempio il sistema informatico».
Punto debole del sistema sanitario, come emerge dalla ricerca, è la mancanza di comunicazione dei dati tra reparti e ospedali.
«Stiamo lavorando per far comunicare i dati del paziente, non solo tra reparti dello stesso ospedale ma anche tra ospedali diversi. In legge abbiamo inserito delle strutture per rendere omogenei i flussi interni di dati, migliorando il sistema di presa in carico con un investimento di 170 milioni di euro.
Il tema chiave è che i fondi del governo sono vincolati a investimenti, mentre mancano risorse in spesa corrente: in una manovra che pesa l'1,7 per cento di incremento per tre anni la Bocconi stima una crescita dal 4 al 6 per cento per finanziare gli investimenti del Pnrr. Come fare? Con la telemedicina, che permette di ottimizzare risorse che già ci sono, aumentando la produttività».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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