Lavoro: l'occupazione ora si colora di rosa

A Milano piacciono le donne. Almeno quelle tra trenta e quaranta anni. Lo ha evidenziato il primo appuntamento, ne seguiranno altri due, del seminario «Non ho l'età» della fondazione Ambrosianeum: dal 2008 al 2012 i trentenni milanesi maschi hanno perso molti punti, circa dieci per entrambi gli indicatori, in termini di occupazione e offerta, che comprende anche chi cerca un lavoro. Le femmine invece hanno perso meno in occupazione e sono cresciute del 2% in quanto a offerta. Anche sulle statistiche a base provinciale, Milano è tra le prime dieci posizioni se si considera i dati relativi a occupazione e offerta di lavoro femminile, mentre se si guarda a quelli riferiti ai maschi il capoluogo lombardo è al 55esimo posto su 110.
C'è però un altro dato su cui battono con insistenza i relatori del seminario: «Questa è una generazione particolare – spiega Francesco Marcaletti, sociologo dell'Università Cattolica – perché sono i primi meno numerosi della generazione precedente: quando i figli del baby boom, gli attuali 50-60enni, andranno in pensione non ci saranno abbastanza italiani per cui sostituirli». Nel 2011 in Lombardia il rapporto tra giovani, 15-24 anni, e l'altra generazione, 55-64 anni, era 82 su 100. Nel 2025, secondo le ultime proiezioni, i numeri cambieranno in 60-100. «L'unica soluzione è capire che serviranno sempre di più gli stranieri per colmare questo buco e quindi – dice Marcaletti – adattare la politica del lavoro, e non solo, a quella che è la realtà».
Proprio sulle politiche del lavoro è intervenuta anche Rosangela Lodigiani, curatrice del rapporto 2013 della fondazione Ambrosianeum, spiegando il rischio che si corre nell'usare la categoria «giovani» per progettare politiche sociali e lavorative: «Il termine viene usato per una categoria che comprende anche età molto diverse con problemi diversi, senza contare che non possiamo calcolare giovane chi ormai è diventato un adulto».
Un discorso su cui Cristina Tajani, assessore al Lavoro del Comune di Milano, ha dovuto concordare: «Anche noi ci siamo resi conto che targettizzare i destinatari dei bandi è molto difficile e in qualche modo esclude sempre qualcuno come ci è già successo».


«Comunque sia la situazione dei trentenni milanesi non è tragica – ha concluso l'assessore – anche se è vero che hanno più difficoltà, ma sono anche una risorsa perché hanno anche maggiori competenze rispetto ai genitori e in città gli indici sono comunque più positivi di quelli nazionali».
Gli stranieri comunque non mancano: sono un quarto dei trentenni milanesi e tendenzialmente sono più dediti, di un 5-6%, all'imprenditoria rispetto agli italiani.

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