Leggi razziali, le scuse di Delpini E Arbib: "Vigilare su nuovi rischi"

L'arcivescovo: "Perdono per ciò che hanno fatto i nostri padri" Il rabbino capo: "Memoria sì ma attenti ai segnali del presente"

Leggi razziali, le scuse di Delpini E Arbib: "Vigilare su nuovi rischi"

La vergogna e le scuse. «Dobbiamo chiedere scusa di quello che i nostri padri hanno fatto o hanno lasciato che si facesse». Ha parlato a braccio l'arcivescovo Mario Delpini. E non ha usato parole di circostanza nell'aula magna dell'Università Cattolica, dove per iniziativa del prefetto, davanti a una platea di studenti, è stata rievocata «una delle pagine più buie della nostra storia», le leggi razziali. Una «tara» l'ha definita il prefetto Luciana Lamorgese. Una tragedia lontana dall'idea autoconsolatoria di un'Italia «razzista suo malgrado», o «controvoglia. «Gli anniversari servono a riconciliarsi con la storia - ha riflettuto l'assessore regionale alla Cultura Stefano Bruno Galli, storico - ma oggi non c'è niente da riconciliare». Pochissimi si opposero, molti restarono indifferenti, qualcuno fu addirittura entusiasta, e conteggiava i posti che si sarebbero liberati con le espulsioni dalle università. «Io ho capito che non sarei stata invitata alle feste delle mie amiche, e che il telefono sarebbe restato muto se non per qualche zelante che chiamava per dirci parolacce» ha raccontato Liliana Segre, che da un giorno all'altro fu espulsa da scuola «per la sola colpa di essere nata». Una porta chiusa allora e riaperta idealmente oggi con la nomina a senatrice a vita. «Sono quella stessa bambina, oggi molto vecchia, a cui è stata chiusa la porta della scuola - ha rivelato di aver risposto al presidente che le chiedeva cosa provasse nel giorno della nomina - e a distanza di 80 anni da quello stesso Stato è stata aperta la porta del Senato». Una testimonianza che ha reso viva la memoria di un evento che fu da molti sottovalutato allora, ma funzionò da preludio all'orrore della shoah. «Posso solo dire che quelle leggi firmate dal Re furono come un filo nero lunghissimo iniziato con l'inchiostro delle firme e finito con le rotaie che portavano ad Auschwitz». Odori, colori, e «cattiveria dei nostri persecutori» Segre ancora li ricorda. «Cose nascoste, non guarite perché non si guarisce mai da Auschwitz» ha confessato, ammonendo su un'indifferenza che «ancora oggi, regna sovrana».

E indifferenza è la parola scolpita all'ingresso del Memoriale della shoah. «L'indifferenza è un terreno preoccupante anche oggi - ha detto Delpini - e può generare cose aberranti». «Quando penso a questa fase sono tentato di avere sentimenti di vergogna - ha confessato - perché mi chiedo come una città come Milano e un paese come l'Italia, con la sua storia e la sua cultura, abbiano potuto generare un evento così sconcertante». Ha ricordato il discorso del cardinale di Milano Ildefonso Schuster, che condannò quelle leggi tacciandole di eresia. Ma ha parlato di «un senso dell'irreparabile paralizzante», che deve però diventare «riflessione e senso di sapienza».

Non solo memoria dunque, ma «memoria attiva» come recitava il titolo dell'incontro. E se il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha avvertito che «non esiste un razzismo moderato», il rabbino capo Alfonso Arbib ha chiarito che, davanti alla cosiddetta «follia» delle leggi razziali, la sorpresa è giustificata solo in parte, dal momento che «segnali da cogliere ce n'erano, riguardo all'antisemitismo. C'erano e ci sono sempre stati». «Il primo documento in cui si parla del complotto ebraico risale al 1144 - ha rivelato - e anche la nuova ideologia razzista che è alla base delle leggi razziali si sviluppò lungo un secolo». Con questi segni bisogna fare ancora i conti».

«Dobbiamo avere memoria ma anche essere attenti al presente» ha avvertito, citando le manifestazioni antisemite nelle città europee e il negazionismo che torna, se è vero che «un esponente arabo-moderato - il presidente palestinese Abu Mazen, ndr- ha parlato di una shoah giustificata». «È doveroso ribellarsi e indignarsi» ha concluso.

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