
«Siamo preoccupati? Si. Abbiamo paura? No. O forse ne abbiamo un po' ma faremo come Fernando, non lo daremo a vedere mai».Marina Tavassi é il presidente della sezione Impresa del tribunale di Milano. Fernando, ossia il giudice Fernando Ciampi, era il più vecchio ed esperto dei suoi giudici. Quando mercoledì mattina è stato fulminato nella sua stanza, Ciampi lavorava a una delle tante cause grandi e piccole che fanno della sezione Impresa di Milano un punto di riferimento per il diritto economico di tutta Italia. Uomo rude, a volte scostante con gli avvocati, ma il ricordo che ieri, in una assemblea stracolma a Palazzo di giustizia, la Tavassi affida al microfono è quello di un giudice vero: «Burbero, brillante, schivo, anticonformista».
«Non c'era tanta gente neanche quando ci riunimmo per la morte di Falcone», dice uno dei veterani del Palazzo. Ed è vero: l'aula magna non basta, si riempie di calca lo sterminato atrio centrale, giudici e avvocati si pigiano nei cunicoli, nei corridoi posteriori, fianco a fianco, nell'intimità forzata. Perché a differenza di Falcone, e per la prima volta nella storia di Milano e d'Italia, muoiono insieme un giudice e un avvocato. E questo costringe a superare steccati e diffidenze, che dietro le parvenze dell ufficialità separano i due mondi. Giudici e avvocati per la prima volta sono davvero in lutto insieme, ed il lutto ricorda loro che dentro la categoria del diritto vivono e operano gli uni e gli altri.
Di quanto le due categorie debbano trovare unità, è il tema principale dell'intervento di Giovanni Canzio, il presidente della Corte d'appello. Già in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, Canzio diede prova della sua insofferenza verso una certa anima di casta che percorre i suoi colleghi. Ieri, di fronte alla tragedia che ha investito il palazzo di giustizia, ammonisce: «Non è tempo nè spazio di rivendicazioni corporative e sindacali della categoria dei magistrati». E ricorda: «Ai magistrati dico che serve il rispetto reciproco con le altre istituzioni; anche di fronte a decisioni impopolari (e il riferimento al taglio delle ferie operato dal governo è evidente, ndr ) bisogna misurare gesti, comportamenti e parole».
La furia omicida di Claudio Giardiello, spiega Canzio, ricorda a tutti come «la crisi dell'economia rischia di trasformarsi in crisi della ragione», e come le tensioni che scuotono il mondo del lavoro si ripercuotano inevitabilmente sul mondo dei tribunali. Per questo serve una «unità» dei giuristi di fronte ad un nemico comune, che è la sfiducia dei cittadini nella giustizia. Ma Canzio, pur spiegando che di misure di sicurezza si dovrà inevitabilmente parlare, mette in guardia anche contro chi vorrebbe blindare il palazzo di giustizia: «Noi non ci sentiamo una fortezza assediata non vogliamo alzare ponti levatoi , voglia restare aperti alla società, alla cultura, agli studenti che entrano tutti i giorni».
Solo nei prossimi tempi si vedrà se e quanto la morte di Ciampi e Lorenzo Claris Appiani colmerà le ferite anche recenti che a Milano si sono aperte tra magistratura e avvocati. I magistrati nell e scorse ore hanno parlato a lungo della loro «solitudine».
Ieri Vinicio Nardo, avvocato penalista, consigliere dell'Ordine e soprattutto amico di Appiani, ha ricordato che anche gli avvocati sono soli: ma in un altro modo, «siamo soli davanti al cliente». E queste due solitudini raramente si confrontano, quasi mai capiscono l'una le ragioni dell'altra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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