Manzi ferito per strada a colpi di pistola

Manzi ferito per strada a colpi di pistola

Un colpo di pistola in mezzo a una piazza del paese, nel Comasco. Il responsabile dell’associazione «Sos Racket e usura», Frediano Manzi, è stato ferito così, ieri sera - in modo non grave - da un colpo di pistola sparato da sconosciuti, dopo essere sceso dalla propria auto in piazza Trento a Lomazzo, in provincia di Como. Contro Manzi sono stati esplosi da un’auto in corsa due colpi, uno dei quali lo ha raggiunto al polpaccio. Il responsabile dell’associazione antiracket è stato portato all’ospedale Sant’Anna di Como. Ora sarà compito dei carabinieri chiarire gli aspetti del giallo e individuare i responsabili dell’agguato.
Frediano Manzi, che aveva raccontato di essere al cinquantesimo giorno di sciopero della fame, è molto conosciuto nell’ambiente dell’anti-mafia milanese per le sue battaglie e denunce di questi anni contro i fenomeni del racket e dell’usura. E proprio ieri mattina ne aveva parlato partecipando a un programma radiofonico in una stazione storica milanese. Come responsabile di «Sos racket e usura», Manzi ha portato alla luce i fenomeni malavitosi legati alle occupazioni abusive degli appartamenti e le manovre intorno al business delle pompe funebri a Milano. Ha denunciato potenti e non, ma è anche un personaggio controverso e discusso. É finito infatti sotto inchiesta, a Milano, per il caso dei finti attentati. Pesanti le ipotesi a suo carico allora: simulazione di reato, detenzione di materiale esplosivo e incendio. L’accusa, in altre parole, è di aver simulato una serie di attentati contro di lui, allo scopo di attirare l’attenzione su di sé e sulla propria associazione. Davanti ai magistrati, Manzi ha confessato di aver pagato 1.200 euro a un pluripregiudicato perché eseguisse due attentati a un chiosco di fiori e a un furgone riconducibili alla sua attività - due fatti poi denunciati come episodi di intimidazione.
Nell’interrogatorio davanti al pm di Milano, Manzi aveva ammesso di aver commissionato gli attentati, spiegando appunto di avere fatto ciò per richiamare l’ attenzione su di lui e le sue iniziative contro il racket. Agli atti dell’inchiesta non c’era solo il racconto fatto da Manzi davanti ai pm Luigi Luzi di Milano e Roberta Colangelo di Busto Arsizio, ma anche quella del complice, finito in carcere per questa vicenda con l’accusa di incendio e rinviato a giudizio. Si tratta di Alberto Marcheselli, a cui Manzi nel tempo avrebbe versato altri 2mila e 500 euro nel timore che parlasse.
I finti attentati furono inscenati a Nerviano il 6 dicembre 2009, quando Manzi ha commissionato a Marcheselli la preparazione di un pacco incendiario messo poi vicino a un suo chiosco di fiori. Il secondo falso attentato è avvenuto a Caronno Pertusella. In questo caso Manzi ha chiesto al complice di incendiare un suo furgone. Qui sono iniziati i guai del leader anti-racket perché Marcheselli per appiccare il fuoco ha usato un mozzicone di sigaretta da cui è stato estratto il suo profilo genetico, contenuto nelle banche dati della polizia. Dall’identificazione all’arresto il passo è stato breve. Poi verso settembre è arrivata anche la confessione.

Manzi, intercettato al telefono con una giornalista, ha dichiarato di sapere chi aveva eseguito gli attentati, ma di non averlo denunciato. Tuttavia a settembre ha confessato tutto in un’intervista registrata da un cronista che poi è arrivata sul tavolo dei pm.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica