Matteo, la felpa non serve più. Dai mercati è salito al Palazzo

Per Salvini è finito il tempo delle barricate in Comune Una gavetta nella Lega tra comizi e giri nei quartieri

Matteo, la felpa non serve più. Dai mercati è salito al Palazzo

Se si giocasse a trovare le somiglianze storiche, il suo parente più prossimo sarebbe probabilmente Nerone. Attenzione però ai pregiudizi: si discute molto, fra gli studiosi, dell'imperatore ricordato per aver bruciato Roma. Con tutta probabilità, in effetti, le cose non andarono così. Nerone, anzi, piaceva molto al popolo perché riportò una patina di benessere, dopo l'austerità di Claudio.

Per chi crede alla storia, tutto torna. Quello che sarà senza dubbio il ministro «forte» della prossima legislatura, Matteo Salvini, dalla sua avrà certamente la gente. Poco importa che gli analisti lo descrivano come un incendiario. Al Viminale, con dietro un partito senza divisioni interne, l'ex ragazzo con la felpa darà battaglia su immigrazione e sicurezza. E dovrà controbilanciare, con la sola forza del suo carisma, un consorte che ha preso quasi il doppio dei suoi voti, il Movimento 5 stelle. «Lo descrivevano come un barricadiero, ma ha dimostrato di conoscere i palazzi meglio di tutti» commenta Francesco Giani, consigliere municipale leghista, che mostra una delle sue prime foto con lui: «Avevo 16 anni, e lui aveva appena preso un partito devastato dagli scandali».

Il «Capitano», così lo chiamano i ragazzi della Lega Giovani, oggi ha quarantacinque anni, compiuti il 9 marzo, due figli, una ex moglie e una compagna da cui ha avuto una bambina. Ha debuttato sulle cronache rosa quando è stata scoperta la sua relazione con la conduttrice tv Elisa Isoardi. Lei è l'angelo del focolare e si fa ritrarre in campagna elettorale mentre stira le camicie bianche di lui.

Alle cronache dei quotidiani invece era già avvezzo: Salvini è un politico di professione. Gli si rimprovera di non essersi laureato (qualche esame di Storia alla Statale prima di diventare consigliere comunale a nemmeno 20 anni), di aver lavorato per poco in una catena di fast food, di avere in tasca un tesserino da giornalista, ma di essere passato solo da testate politiche. Almeno nei ranghi del partito la gavetta però l'ha fatta: da semplice iscritto nel 1990 a segretario dei Giovani Padani milanesi; da capo della Lega Lombarda nel 2012, a leader di un movimento nazionale che quadruplica i numeri ad ogni elezione. Nel frattempo ci sono i mandati al Parlamento europeo ed italiano, e molte elezioni a Palazzo Marino, fino all'ultima, nel 2016. La sua è una vita dedicata alla politica, con comizi e riunioni fino a tarda sera, quando torna nel suo nord: a Milano, o nella provincia lombarda che rimane lo zoccolo duro del consenso. Resta poco spazio per altro: la famiglia, e il Milan. Si narra che in camera sua fin da ragazzo ci fosse una sola foto con dedica: non quella del fondatore del Carroccio, Umberto Bossi, - vittima poi, del suo «parricidio» politico - ma quella di Franco Baresi. L'immagine che mette insieme l'uomo e il militante è quella del «classico» giro nei mercati, con la piccola di 6 anni a cavalcioni: è difficile incontrare qualcuno che lo conosca personalmente e ne parli male dal punto di vista umano. Ai media invece mostra il volto irruente del leader che rilancia sempre, che vive dell'adrenalina da combattimento. Chi lo giudica politicamente nota infine la spregiudicatezza, la capacità di cambiare idea - da «Mai dire Italia», suo programma in radio, a «Prima gli italiani» - di fomentare la rabbia. Come continuerà la storia lo vedremo da oggi in poi.

Quanto a Nerone sappiamo che fu destituito da una rivolta militare nazionalista; ma che nel quindicennio al potere abolì le imposte indirette e svalutò la moneta: la spesa pubblica ebbe un'impennata, ma il popolo continuò ad amarlo.

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