La mattina del 6 gennaio il signor Ernesto esce col cane Buck Quando la nebbia si alza capisce che l'enorme sacco appeso a una gru è in realtà una calza Piena di polveri sottili

di Daniele AbbiatiErnesto C., pensionato, vedovo, ex impiegato delle Poste, alla fine aveva ceduto alle garbate insistenze della cronista. Era una ragazza bionda e carina con il nasino all'insù e gli ricordava vagamente la sua Teresa da giovane. Questo fu il primo motivo per cui le concesse l'intervista. Il secondo motivo fu Jonathan, ultimo in ordine di età dei suoi sette nipoti. «Dài nonno, parla con la signorina, così domani facciamo una sorpresa al papà e alla mamma!», gli aveva detto tirandogli una manica del cappotto, e guadagnandosi una carezza e un bacio in fronte dalla biondina. Terzo motivo: il sottile piacere di apparire, con tanto di fotografia, sul giornale che Ernesto leggeva fin dal primo numero. Così, toccò a lui il ruolo di testimone principale in quello che ancor oggi a Milano si ricorda come «Il caso della Befana verde».Le cose andarono così.Alle 7 di mattina del 6 gennaio 2017, Ernesto era già in piedi. Anzi, era già in giro con Buck, il suo cane. I vecchi, si sa, dormono poco, soprattutto dopo che sono rimasti soli. Arrivati ai giardinetti di fronte alla scuola elementare, Buck, espletate le formalità di rito, dapprima mostrò strani segnali di nervosismo, girando in tondo e lanciando guaiti, poi iniziò ad alzare ripetutamente il muso verso l'alto, ululando come un lupo, anche se era un mite setter irlandese. Nel buio e nel silenzio della città avvolta da una fitta nebbia, Ernesto temette che il cane ce l'avesse con qualche ladro in azione ai piani alti del palazzo di fronte. Ma poi, osservando meglio nella direzione indicata dall'animale, vide qualcosa pendere da una gru che si stagliava oltre il tetto di un centro commerciale. Sembrava un enorme sacco, un sacco nero come la notte. Ma, stranamente, ingentilito da fioche lucine intermittenti.«A quel punto che cosa ha fatto, signor Ernesto?» (citiamo dall'intervista della biondina).«Ho chiamato subito i vigili. Avevo paura di un attentato, sa, di questi tempi... Oppure di un atto di vandalismo... di uno scherzo stupido e pericoloso... Se quell'affare fosse caduto... Poi i vigili quando sono arrivati, una mezz'oretta dopo, hanno chiamato la polizia, segno che anche loro non si azzardavano a salire fin lassù... Intanto però la nebbia si era alzata un po', erano passate le otto, e tutti, io, i vigili e il capannello di gente che si era formato, forse anche il mio Buck che è un cane intelligentissimo, abbiamo incominciato a capire di che cosa si trattava».«Cioè?».«Non era un sacco nero, ma una gigantesca calza, una calza della Befana come quella che la sera prima avevo riempito per Jonathan, il mio nipotino più piccolo. Ma cento volte più grande».Ultimata l'intervista, infarcita delle solite note di colore necessarie per raggiungere le cinquanta righe, la biondina (la quale, detto per inciso, abitava nello stesso condominio di Ernesto) buttò giù dal letto il suo caporedattore, chiamandolo sul cellulare e spiegandogli il tutto. Il caporedattore, vecchia volpe del mestiere, fiutò subito la notizia bomba ma capì che la biondina non sarebbe bastata, a «coprire» per bene il servizio. E a sua volta buttò giù dal letto il nerista.«In fondo, un bel regalo per tutta la città. Un regalo inaspettato e, soprattutto, graditissimo». Questo fu l'attacco del pezzo del nerista. Proseguiva spiegando come, ottenuto il via libera dagli artificieri, i vigili del fuoco avessero recuperato la misteriosa calza. Come poi fossero intervenuti quelli del Ros per esaminarne il contenuto. E come, infine, l'ultima parola toccò a una équipe del Dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi. «In sostanza - citiamo ancora dal pezzo del nerista - possiamo dire che la Befana anche questa volta si è attenuta alla tradizione: ci ha portato... un sacco di carbone. Ce lo siamo meritato».Infatti, nell'enorme calza che Ernesto C. era stato il primo a notare (venti metri di lunghezza per cinque di circonferenza) non c'erano altro che polveri sottili, la porcheria inquinante che vent'anni fa era la dannazione dei milanesi.

Sarà stato un caso ma, dal 7 gennaio del 2017 a oggi, di particolato sospeso, pulviscolo atmosferico, fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi o solidi, a Milano non si è più parlato. Oggi abbiamo ben altri problemi, con questa maledetta neve all'ozono. Ieri ne sono caduti altri trenta centimetri. E la Befana ormai se n'è andata.

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