Presidente Gianfelice Rocca, il Pil lombardo torna a crescere, sia pure solo dello 0,2 per cento. È l'inizio della ripresa?
«Accanto ai dati sul Pil che ha ripreso a crescere, abbiamo una serie di indicatori ulteriori. Prima di tutto, le aziende con prospettive di assunzione sono aumentate negli ultimi cinque mesi dal 41 al 53 per cento. Poi, il clima di fiducia delle aziende manifatturiere è salito da meno 10 a più 10 e anche il clima di fiducia dei consumatori è al 110 per cento. Infine, l'export sta crescendo. Nell'insieme, una serie di fattori conferma il segno più della ripresa».
Vuol dire che possiamo tirare un sospiro di sollievo e dire che il peggio è passato?
«Siccome abbiamo sofferto di un lungo periodo negativo, il quadro della Lombardia produttiva nel manifatturiero è ancora del 10 per cento sotto il periodo pre crisi e anche il Pil è del 3 per cento sotto. Per trainare il Paese serve una crescita decisamente più brillante, perché dobbiamo tenere conto che la Germania è sopra del 5 rispetto a prima della crisi. La Lombardia non può che cercare di crescere del 2 o 3 per cento. Dobbiamo recuperare il gap con la Germania: queste sono le nostre Olimpiadi».
Le imprese che hanno subito più choc per la crisi sono quelle che hanno ridimensionato gli investimenti. Che significa?
«Le imprese medio- grandi, esportando di più, hanno investito di più, e sopra i duecento addetti sono tornate al periodo pre crisi. Tra i 50 e i 200 addetti sono a meno 10 per cento. Le imprese fino ai 50 addetti sono a meno 20 per cento. A mio avviso dipende dal fatto che molte Pmi erano più legate al mercato interno e non si sono potute salvare con l'export. La loro difficoltà di crescita è però un problema molto grave: non si può pensare a una vera crescita se non partecipano le Pmi».
Come rilanciare il ruolo delle piccole e medie imprese, che sono sempre state l'asse portante dell'economia milanese e lombarda?
«Bisogna dotarle di sufficienti mezzi finanziari: più credito dalle banche con strumenti parzialmente svincolati dagli accordi di Basilea 3, che invece di basarsi sul vero livello di insolvenza dei piccoli, si basa su criteri formali. Eppure, quando guardiamo le sofferenze delle banche, vediamo che sono nate dalle grandi imprese e non dalle piccole. Invece a pagare sono le piccole. La stessa Bankitalia ha messo in rilievo la necessità di lavorare su questo fronte. Da parte nostra c'è uno sforzo per far sì che le Pmi non paghino i ritardi dei pagamenti delle grandi. Per questo abbiamo lanciato un codice per rendere trasparenti i pagamenti fra le imprese private: dicano quando pagano e poi paghino quanto dicono».
Il tasso di giovani che lasciano la Lombardia per andare all'estero risulta alto, superiore alla media del Paese. È dinamismo o crisi occupazionale?
«Per i giovani lavorano diverse cose. Oggi le università lombarde producono ottimi professionisti. Gli ingegneri italiani nel mondo sono i più competitivi, insieme ai polacchi. Costano il 40 per cento in meno dei cinesi, a pari competenze. Questi ingegneri sono appetiti nel mondo, reclutati nei tedeschi, e però i dati milanesi di uscita di laureati e ricercati sono inferiori rispetto ai dati tedeschi. Questo fa pensare a segnali di internazionalizzazione, anche perché una gran parte degli studenti che viene in Italia decide di restare. Così, secondo me il problema non è così grave come viene rappresentato. C'è un brain vain ma anche un brain gain . E abbiamo anche molti che rientrano a lavorare a Milano».
Un altro dato preoccupante riguarda la diminuzione del reddito delle famiglie e l'aumento della povertà assoluta. In Lombardia sta scomparendo il ceto medio?
«La polarizzazione della società è un fenomeno mondiale che riguarda anche i Paesi con distribuzione del reddito più egualitaria, come Svezia e Germania. È dovuto a un indebolimento del settore manifatturiero, con un'espulsione di colletti bianchi di 40- 50 anni che avevano redditi medi. D'altra parte, la crescita dell'occupazione italiana che cominciamo a registrare è abbastanza concentrata nel rientro nel mercato del lavoro di persone sufficientemente qualificate di età superiore ai 50 anni. È vero che c'è debolezza nell'assunzione di giovani, ma si sta riassorbendo il problema degli over 50».
Se le famiglie sono più indebitate, non crescono i debiti per investimenti. È un trend preoccupante?
«Il reddito pro capite in Lombardia dal 2010 al 2013 si è ridotto dello 0,8 per cento. Il patrimonio delle famiglie, nello stesso periodo, si è ridotto del 6 per cento. Vuol dire che gli attivi delle famiglie, soprattutto gli immobili, si sono erosi. Tutto questo genera una pressione sia sui redditi che sui patrimoni. E anche sulle famiglie: a causa dei redditi in discesa, c'è più gente che cerca occupazione per compensare la decrescita dei redditi. Un discorso che riguarda soprattutto i redditi medi e le donne».
Come valuta la crescita degli investimenti dall'estero?
«Molte operazioni riguardano settori industriali: decine e decine di aziende italiane consolidano la loro presenza nel mondo. Grandi gruppi europei e asiatici acquisiscono aziende medie lombarde e le avvicinano ai mercati globali. Vale nella moda ma anche in altri settori e non è un fatto negativo, perché non limita lo sviluppo delle aziende, anzi accelera la fatturazione globale».
E le grandi operazioni immobiliari?
«Ho sentito dire da numerosi investitori internazionali di vari Paesi
che Milano è la città in cui bisogna essere adesso. Se guardiamo la nostra skyline , ci accorgiamo che sono successe molte cose in questa città, di cui chi abita a Milano si accorge meno rispetto agli investitori globali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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