Tipo strano, Paolo Migone. Si fa conoscere nel mondo della risata, alla corte di «Zelig», indossando un impermeabile ma restando tra le quattro mura di casa: concentrando cioè la sua impressionante enciclopedia di battute sul rapporto tra marito e moglie. Poi, quando decide di uscire dall'eterna disfida domestica tra lei («un pitbull nascosto nella panna montata») e lui (uno che, semplicemente, «vuole farsi gli affari suoi», detta in modo urbano), ecco che scende in strada senza impermeabile. L'ultimo show di Paolo Migone che debutta oggi al Teatro Manzoni nel cartellone stagionale di comicità e cabaret intitolato «Ridere alla grande» (ore 20.45, domenica ore 15.30, ingresso 25 euro, info 02.76.36.901) - si intitola «Italiani!»: sferzato dalla pestifera lingua del comico livornese è infatti il popolo italiano, con le sue manie, i suoi difetti incurabili, le sue abitudini. «Come mai solo ora penso agli italiani? - spiega In verità lo avrei fatto anche prima, ma a Zelig Gino & Michele sono per le specializzazioni: vogliono che un comico trovi il filone e insista su quello. In realtà ho anche un motivo quasi serio per parlare della nostra società: ho un figlio ormai quindicenne e, da padre, mi preoccupa pensare in quale paese si ritroverà una volta che lui sarà adulto. Anzi, mi sento mortificato ad essere italiano, tu guarda dove l'ho fatto nascere». Ma si può ridere armati di un pessimismo cosmico di tal fatta? «Ovviamente la butto sul comico, non faccio il catastrofista. Ma non nascondo che l'Italia è parecchio malmessa». Tra i difetti principali dell'italiano, Migone vede la furbizia: «la cosa tragica è che qui da noi è vista come un pregio spiega Se si esclude il periodo dell'Impero Romano, la storia degli italiani è quella di un popolo sempre suddito, di un servo tra due o più padroni. Ecco, siamo dei perfetti Arlecchino. E non è che io mi tiri fuori dal numero, eh». Nessun atteggiamento da santone alla Grillo, dunque. «Anzi spiega il comico toscano A diciassette anni mi rubarono il tappo del serbatoio del motorino e io che ho fatto? Mica sono andato a comprarlo: a mia volta sono andato a rubarne uno!». Un altro tema che indispettisce Migone è l'indifferenza verso la cultura, l'arte e lo spettacolo nel Belpaese: «Un esempio qui a Milano, città cui devo il mio successo e che non posso non amare: il Teatro Smeraldo ha chiuso e si è trasformato in un supermercato per fighetti. Dovrebbe esserci un vincolo perché uno spazio teatrale passi di mano ma non cambi mai la sua destinazione culturale».
E sebbene sia difficile avere sogni di questi tempi, Migone ne ha uno preciso: «Sto scrivendo un film incentrato sul tempo, sul diritto al tempo libero, che è quello che nutre il cervello e la fantasia. Ma chissà se riuscirò mai a portarlo sullo schermo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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