"Milano è la città della radio È qui che crescono le idee"

Lo storico deejay ripercorre gli inizi della carriera e guarda al futuro. "Le emittenti sono state la nostra risposta alla romanità di tv e cinema"

"Milano è la città della radio È qui che crescono le idee"

Quest'anno è l'anno della radio, Linus lei cambia frequenza o si sintonizza?

«Mi sintonizzo, ci mancherebbe...» .

Quindi sarà a Radiocity, il mega-evento milanese che tra una settimana alla Fabbrica del Vapore metterà tutte le radio al centro.

«Sì ci sarà Radio Deejay e ci sarò anche io».

Ma cosa sarà un rimpatriata?

«Odio le operazioni nostalgia...».

La settimana scorsa però per festeggiare i 33 anni della sua Radio e tornato in discoteca a mettere dischi in vinile?

«E' stata solo una coincidenza. Il mio lavoro spesso è trovare un collegamento tra le cose. Così dopo la magafesta che avevamo fatto riempiendo il Forum per i nostri 30 anni era difficile replicare. E allora per i 33 ci è piaciuta l'idea di collegarla ai vecchi ellepì. E andata bene ma finisce lì...» .

Quarant'anni da Radio Milano International e si riparte da Milano?

«La nostra per la radio è una città fondamentale. Anche se poi credo che la prima radio libera fosse Radio Parma. Ma cambia poco» .

E perché proprio Milano?

«Non so forse per caso. O forse per dare una risposta alla “romanità” della televisione o del cinema. Era tutto a Roma e in parte è ancora così oggi e noi poveri reietti ci siamo inventati le radio...» .

Un'invenzione che però «resiste» alla crisi e a Internet. Ma è solo perché in ogni auto c'è un'autoradio accesa?

«No. La radio in Italia è una bella anomalia se si considera che in tanti Paesi nel mondo è un fenomeno assolutamente marginale. Da noi invece è terreno ancora fertile che dà la possibilità a chi le ha di far crescere le idee...».

E questo perché?

«Perché, tanto per fare un esempio, rispetto alla televisione c'è più coraggio e possibilità di sperimentare. In tv i dati dello share sono un incubo che si materializza puntuale la mattina dopo decidendo vita o morte di un programma, di uno show. E così uno prima di inventarsi qualcosa di nuovo ci pensa due volte, va sul sicuro. In radio è diverso. I dati ci sono ma sono più approssimativi. Diciamo che il margine che ti lasciano è più ampio».

Intanto però lei e Nicola Savino da 18 anni fate lo stesso programma...

«Non è proprio così. DeejayChiamaItalia è “materia viva” ed è cambiata con noi. Io sono uno eternamente insoddisfatto e proprio per questo cerco spesso di prendere strade diverse. E anche Nicola non è uno che ama i cliché».

E come dice Aldo Grasso vi siete trasformati da una trasmissione radiofonica all'unico vero talk show nel nostro Paese. Ve ne siete accorti?

«Forse no. Siamo cresciuti e Djci è cresciuta con noi. Prima solo in radio poi con le telecamere che rubavano i fuori onda in studio e oggi con una regia solo un po' più sofisticata...».

È questa la radio dei prossimi anni? Un contenitore che contiene tante altre cose?

«Per noi un po' sì. Gli eventi, le feste, la corsa, l'happening serve tutto a costruire un rapporto di fiducia con il pubblico. Anche se poi al centro resta la parola. La chiacchiera...».

Solo?

«No. Purtroppo la tecnologia si è un po' dimenticata di noi. Se avessimo il digitale potremmo pensare finalmente a un radio verticale con tati canali dal pop, al rock, al jazz alla classica uno per ogni tipo di esigenza. Con l'analogico ci si deve arrangiare con una programmazione più trasversale che fa i conti con costi che altrimenti sarebbero altissimi».

Ma la tecnologia c'è...

«Sì certo. Con la rete, i podcast e con le app sta davvero cambiando il modo di utilizzare la radio. Sono un richiamo enorme per chi ci segue. Permettono di partecipare, di recuperare le trasmissioni, di utilizzarle anche su altri supporti ad esempio gli smartphone».

Quindi la via è questa?

«Si va sempre di più verso una radio di contenuti. La differenza si fa lì perché poi il nostro lavoro è al 100 per cento di contenuti».

E allora si torna agli antichi radiodrammi a puntate su radiouno?

«No però ci si potrebbe anche pensare. Noi ci abbiamo provato a raccontare storie e musica con Dee Giallo di Carlo Lucarelli. E non è andata male. È uno stile che in radio funziona basti pensare al successo che qualche anno fa ebbe Alcatraz di Diego Cugia...».

Quindi il disc-jokey con la voce impostata,

che sta alla “consolle” e che ricorda ai radioascoltatori che sono le 18 e 48 minuti primi... è morto e sepolto?

«Fortunatamente sì... Anche se però a pensarci bene qualcuno c'è ancora. E un po' mi fa tenerezza...».

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