A Milano nasce lo zafferano doc

A Milano nasce lo zafferano doc

A ottobre raccoglieranno il loro primo chilo di zafferano. Tutto milanese, coltivato nel parco di Grugnotorto a cavallo con la Brianza.
Nonostante il risotto giallo sia infatti la caratteristica meneghina, il «giallo» da queste parti non è mai stato coltivato. Parte invece proprio da qui «ZafferanaMi» la sfida di tre giovani che hanno deciso di tingersi le mani nel rosso di questa spezia più per passione che per vero guadagno. Una sfida mica facile, appunto. Il clima pare che non sia propizio. Precedenti pare che non ce ne siano, a parte una famiglia di produttori nel Bresciano. A guidare il coraggioso trio, Dario Galli, 27 anni architetto e designer, poi c’è Silvia, 25 anni architetto paesaggista e «il vecchio» come lo chiamano loro, Guido, 35 anni, consulente organizzativo. Improvvisati? Niente affatto. La loro storia parte da parecchio lontano. «Mio nonno coltivava Cartamo, un surrogato dello zafferano - racconta Dario Galli - Era convinto di produrre grandi quantità della nobile spezia... Tutti in casa abbiamo mangiato per anni risotto alla milanese colorato con il cartamo! Mio padre un giorno, di ritorno da un viaggio in Abruzzo portò alcuni «cormi», i veri bulbi di zafferano, in regalo a mio nonno. Ma lui era incredulo. Dubitando che quel fiorellino potesse essere il vero zafferano, lo sistemò nella parte meno produttiva dell’orto. Solo quando assaggiò i pochi stimmi prodotti si convinse. Non bastarono che per qualche risotto ma il sapore era ottimo e la pianta, di anno in anno, sotto terra, si moltiplicava». È solo l’inizio. Ma la passione per l’orto in Dario è già seminata. Come lo zafferano in quel primo campo. A 4 anni giocava a portare gli attrezzi ai nonni. Alle elementari per almeno un anno tutti i giorni prima di andare a scuola faceva «lezioni di orto». L’orto. Lo zafferano la passione per la terra sono cresciute di pari passo con gli studi al Politecnico. Oggi a 27 anni è architetto e designer ma un quarto della sua giornata la dedica allo zafferano. «Meglio quattro ore a lavorare la terra piuttosto che passarne 12 sul computer». Ma se con lo zafferano non ci si mangia, la sua passione non è invece passata inosservata. Lo chef stellato Davide Oldani non solo si è accorto di questa micro ma gustosissima produzione. Ss serve da loro e con loro ha iniziato a sperimentare. Il prossimo anno, ad esempio, gli forniranno zafferano «fresco» per realizzare piatti più saporiti. A seconda di come infatti viene essiccato e in quanto tempo (si va dai 20 minuti ai tre giorni) il prodotto cambia e non poco. Ma Dario non è uno di quei giovani che cercano il tutto e subito. L’obiettivo? «Pagarci 10 euro all’ora per il lavoro. Non è certo un utile». È vero che un grammo dei loro preziosi stimmi costano 20 euro, ma per arrivare a una piccolissima produzione bisogna investire una quantità enorme di tempo e lavoro. E a 20 anni non è un cosa poi così comune. Basti pensare che per fare una bustina di quella magica polvere gialla ci vogliono ben 15 fiori.
«Dopo la scomparsa del nonno decisi di riprendere la coltivazione dell’orto di famiglia. Il nonno mi aveva insegnato fin da piccolo come coltivare le piante orticole più comuni. Un giorno, dissodando il terreno vicino ad un melo, scoprii decine e decine di cormi e, ricordandomi dell’aneddoto dello Zafferano, li trapiantai in file in un terreno recentemente concimato. Di anno in anno la produzione è cresciuta e così la passione». Sopra poi ci ha messo lo studio per affinato le tecniche di coltivazione. Ottobre, il mese della raccolta è diventato il suo mese preferito. E in questi anni non conta più quante volte si è svegliato all’alba per raccogliere, alla fine, meno di un etto di prodotto. Una manciata o poco più.
Però ora sembra che Dario riesca laddove non è mai arrivato nessuno. Da novembre quando il ciclo vegetativo si esaurisce e la pianta continua lavorare sotto terra creando nuovi bulbi. Ebbene in questo campo alle porte della metropoli da un bulbo sono riusciti a farne anche 5 o 7 e in casi eccezionali anche 9 contro una media nazionale che non supera il raddoppio, quando va bene.

Motivo? Senza scendere troppo in particolari tecnici «il benessere della pianta» riassume lui. Così la decisione di fare il salto e ampliare la produzione. Da poco meno di un etto a un chilo che, per farsi capire, significa all’incirca 40mila porzioni di risotto.

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