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«Il mio Beckett ha un'anima napoletana»

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Un Beckett alla napoletana, e perché no? Quando di mezzo c'è Lello Arena puoi aspettarti perfino un “Finale di partita” intriso di ironia partenopea. Quella che ridi ma intanto rifletti, perché la realtà è troppo cruda per prenderla sempre sul serio. Del resto, diceva Adorno, l'arte trova la sua positività proprio nel denunciare il negativo. E il testo-rompicapo del drammaturgo irlandese sembra scritto apposta. C'è tempo fino a domenica per vederlo al Parenti, con il comico della Smorfia nei panni del cieco protagonista Hamm, Stefano Miglio in quelli del servo Clov, Gigi De Luca di Nagg e Angela Pagano di Nell, per la regia di Lluis Pasqual.

I critici si chiedono il senso di quest'opera, l'autore ripeteva che non c'è niente da spiegare, tutto è detto nel testo. Lei a chi dà ragione?

«Il problema dell'attore, prima di capire razionalmente, è quello di dare carne, anima e sangue ai personaggi. Per me il lavoro di ricerca, che pure c'è, dev'essere dimenticato per arrivare, in quell'ora e mezza, a un'inconsapevolezza magica, misteriosa».

Quanta Napoli c'è nel suo Beckett?

«C'è l'anima degli interpreti, il loro modo di essere e parlare, la loro ironia. Siamo tutti e quattro napoletani e Lluis ci ha detto di non forzare la dizione, mantenere i nostri accenti, restare noi».

Per Beckett “non c'è niente di più comico dell'infelicità”. Ma si può davvero ridere del dolore?

«Il saper ridere è una risorsa del genere umano, altrimenti ci saremmo già fermati. Ma nel testo c'è un'altra battuta ancora più definitiva. È quando Hamm, il mio personaggio, rimprovera a suo padre Nagg di averlo messo al mondo, e l'altro risponde: “Mica sapevo che saresti uscito tu”. Una bomba al napalm».

Si sente ancora un comico?

«Mi ritengo felicemente un comico, da sempre. Il comico va usato in tutte le occasioni in cui è consentito. Anche in Beckett, di cui Pasqual non ama le letture troppo seriose”.

Il titolo Finale di partita fa riferimento agli scacchi. Come si sta nei panni del “re” in attesa dello scacco matto?

«In fondo lo scacco matto se lo è dato da solo, mettendo i propri genitori in bidoni, chiudendosi in una solitudine disperata».

Beckett è stato un autore multimediale: teatro, ma anche cinema e tv. Lei, da “attore multimediale”, quale predilige?

«Più che il mezzo, per me contano le idee. “Maraviglioso Boccaccio”, dei Taviani, ha inaugurato il festival di Pechino e ora è in 3mila sale cinesi. Il punto non è fare cinema, ma partecipare a un grande progetto. Come questo Beckett, che presentiamo in una sceneggiatura d'eccellenza».

Napoli e Milano, due città percepite come agli antipodi, fin dai tempi di Totò. E' solo un luogo comune?

«La scena di Totò e Peppino viene sempre in mente anche a me quando arrivo in Stazione Centrale. Milano fa sempre impressione. Ma ormai vedo che anche molti milanesi, visti i tempi, sanno farsi furbi e vivere “da napoletani”. C'è una certa democrazia del disagio».

Ricordi artistici?

«Qui ho fatto

tanta tv, le dirette di Striscia con Ricci e compagnia, a cui sono molto legato. Negli anni Ottanta ricordo la prima diretta su Canale 5 col Raffaella Carrà Show. Fu un'emozione fare da apripista a un certo Jerry Lewis».

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