«Mio nonno difensore alla Corte marziale»

La testimonianza del nipote di Lodovico Isolabella, anche lui togato

Eroismi: ma non solo. La storia degli avvocati milanesi nella Grande guerra non è fatta solo del sacrificio delle centinaia di giovani che lasciarono la toga per la trincea, a combattere e a morire per un'ideale di Patria e di libertà. Ci fu, nei tre anni e mezzo di guerra, anche un avvocato milanese che dovette confrontarsi con il lato più fosco del dramma che si compiva: la feroce disciplina interna, i processi sommari davanti alle Corte marziali imposti dai comandi per conservare la disciplina.

Quell'avvocato si chiamava Lodovico Isolabella dalla Croce, era nato nel 1875, figlio dell'industriale che aveva inventato l'Amaro 18. Allo scoppio del conflitto, era ormai quarantenne, ma era stato ugualmente arruolato nella Seconda Armata e inviato di stanza sul Basso Piave, a Cavazuccherina, l'odierna Jesolo. E qui, in quanto avvocato, era stato destinato a un compito duro e terribile: difendere i soldati davanti alla Corte marziale.

Racconta suo nipote, Lodovico Isolabella, anche lui avvocato: «Di tutta la sua vita di guerra, i racconti del nonno erano segnati soprattutto da quella esperienza. Qualunque fosse l'addebito che gli veniva mosso, la sorte di quei poveri soldati era segnata. Il nonno diceva alla nonna: È tutto inutile, li mandano a morire. Raccontava la disperazione di questi ragazzi, e anche la sua. Era totalmente disperato, il nonno».

Lodovico Isolabella partì per il fronte con il grado di capitano, e ne ritornò con quello di colonnello. Per partire, aveva dovuto mettersi d'accordo con suo fratello Guido, perché qualcuno doveva restare a mandare avanti l'azienda. E si trovò trasformato in ingranaggio della macchina repressiva voluta dalle gerarchie non per colpire reparti accusati di codardia (lì si impiegava il metodo ancora più sbrigativo delle decimazioni) ma per punire i militari accusati di reati «comuni».

Fu una esperienza traumatica, ma il ricordo di quei processi sommari non tolse all'avvocato Isolabella l'orgoglio della divisa. «Quando morì, nel 1968 - racconta il nipote - mi disse: Mi vu, io vado. Ma son colonnello, tre squilli di tromba!».

LF

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