Cronaca locale

Il mito della violenza tatuato sulla pelle e i riti di iniziazione

1Per entrare bisogna farsi pestare dal resto della gang. Calci e pugni, devono essere almeno in quattro a menare, più un quinto che, cronometro alla mano, conteggia il livello di resistenza dell'aspirante nuovo affiliato. Il rito di iniziazione applicato dal «Barrio18» per i nuovi adepti è confermato da alcune intercettazioni: «Non abbiamo gente a sufficienza per uscire a fare dei giri», dice il 9 marzo dell'anno scorso Miguel Angel Gomez, detto «Perro», parlando della necessità di ampliare l'organico criminale. E il capo, «Gato», conferma: «Sì è vero. Ma ci serve gente che possa dare i calci. E mettiamo qualcuno a fare il conteggio». «Tu lo sai che di norma devono essere in quattro», fa notare ancora «Perro». Quell'iniziazione poi si farà, il 28 maggio successivo, quando nella pandilla saranno arruolati Stanley David Jayro Hernandez Cabrera, detto «Quijada» («mascella») e Shenan Miguel Chang detto «Jailer« («carceriere»), entrambi tra gli arrestati di ieri. In alternativa, ai candidati può essere commissionata la missione di accoltellare un membro di una banda rivale, come la Mara Salvastrucha o «MS13«, con cui da anni quelli del «Barrio18» portano avanti una guerra. La stessa che si combatte in California, dove queste bande sono nate sfuggendo alla guerra civile nel Salvador: la rivalità nasce nei quartieri di Los Angeles che danno il nome alle pandillas , viene tramandata ed emigra con i suoi membri fino a Milano. Dove lo scopo resta guadagnare potere e soldi l'una a discapito dell'altra. Cominciando dalle rispettive zone di controllo del territorio: dal parco Trotter, lungo via Padova, via Sammartini e la stazione Centrale per il «Barrio18», quella del parco Nord per «Ms13». Una volta dentro si sceglie un nome, e il meccanismo non prevede vie d'uscita: collaborazione, fedeltà, obbedienza, omertà. Regole da Fight Club. Come nel romanzo di Chuck Palanhiuk, è vietato parlare della gang: niente informazioni sui nomi dei componenti, niente indicazioni sulla struttura. Rispettare, obbedire, mai mentire al capo. Non toccare le donne degli altri affiliati, non scappare di fronte alle aggressioni, ma aggredire sempre quelli delle bande rivali. L'appartenenza va marchiata a pelle: tutti i sodali devono tatuarsi il simbolo della banda. Non è previsto che un affiliato possa uscire: il legame è come quel tatuaggio, per sempre; al massimo ci si può «allontanare», ma solo previa autorizzazione dei vertici. «Dopo questo non si può più tornare indietro, non c'è più l'uscita (...). Tra di noi se mangia uno mangia anche l'altro; se succede qualcosa a uno vuol dire che la stessa cosa accade a tutti», dice ancora «Perro» in un'altra telefonata. Chi sbaglia viene punito. Il «Barrio18 è una gang «più strutturata» rispetto alle bande rivali: capace - come ha spiegato il capo della Mobile, Alessandro Giuliano, dopo gli arresti - anche di garantire il sostentamento degli affiliati detenuti. Come le organizzazioni criminali nostrane». Un'efficienza economica garantita dallo spaccio di droga, dalle rapine, ma anche da una cassa comune che i componenti sono obbligati a rifondere a scadenza fissa. «Quelli che lavorano devono dare più soldi», spiega infatti «Gato» il palabrero , in una telefonata del 29 maggio 2014. Mentre in una di un mese dopo «Perro» fa notare che «ci sono tanti ragazzi che non stanno dando i soldi». Una macchina con regole precise, con un suo «ordinamento giuridico», come ha scritto il gip Paolo Guidi nell'ordinanza.

Twitter @giulianadevivo

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