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Quel Mucchio selvaggio con cui Dalla Chiesa battè le Brigate Rosse

Nei suoi tre anni a Milano con i fidatissimi della Pastrengo affrontò il terrorismo rosso

Luca Fazzo

Nella massa di interviste, di ricostruzioni, di commozione e financo di retorica che accompagna il trentacinquesimo anniversario dell'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, un dettaglio sfugge ai più: Dalla Chiesa non era un uomo solo. Nella scelta dei collaboratori, anzi, stava forse una delle sue qualità migliori. E nei tre anni in cui a Milano, sotto la guida del Generale, si stringe il cerchio intorno ai capi delle Brigate Rosse, tra la caserma di via Moscova e quella di via Marcora agisce un gruppo di giovani ufficiali che della linea operativa di Dalla Chiesa erano gli interpreti fedeli. Umberto Bonaventura, Nicolò Bozzo, Luciano Seno: tenenti e capitani che Dalla Chiesa aveva scelto uno per uno e che svolgeranno un ruolo decisivo.

Sono loro il braccio armato di Dalla Chiesa al Nord, quando - dopo l'uccisione di Aldo Moro - il governo mette il generale alla testa del nucleo speciale per la lotta al terrorismo, garantendogli poteri senza precedenti. È Bozzo a gestire in contatto diretto con Dalla Chiesa l'operazione che porta a individuare a Milano Lauro Azzolini e Nadia Mantovani, entrambi membri della direzione strategica delle Brigate Rosse e a fare irruzione nel covo di via Monte Nevoso dove verrà ritrovata una parte del memoriale di Moro. Una parte delle carte sparì strada facendo e una versione più corposa riapparve molti anni dopo durante i lavori di sistemazione dell'appartamento, imboscata in un controsoffitto. Polemiche e dietrologie si trascinano da sempre, ma resta il fatto che l'arresto dei due latitanti e la scoperta del covo segnarono una sconfitta cruciale per il terrorismo rosso.

Pochi mesi dopo, Dalla Chiesa si trasferì personalmente a Milano, si impiantò nella sede della divisione Pastrengo in via Marcora e da lì diede il via alla fase due dell'operazione che doveva portare all'azzeramento delle Br e dei loro epigoni con la creazione della Sezione anticrimine.

Tra il 1979 e il 1981, i ranghi delle organizzazioni armate vennero falcidiati dagli arresti. Il 4 aprile 1981, con la cattura di Mario Moretti, capo della direzione strategica, i carabinieri chiudono il cerchio su ideatori e realizzatori della «operazione Moro».

Otto mesi più tardi, il 16 dicembre, Dalla Chiesa lasciò per sempre Milano, per diventare vicecomandante dell'Arma e subito dopo prefetto di Palermo. Ma mentre il generale andava incontro alla morte in Sicilia, a Milano i suoi uomini continuavano a operare e a colpire, smantellando una dopo l'altra le cellule terroriste ancora in circolazione. Il «mucchio selvaggio», si chiamavano: venti, ma svegli e pronti a tutto.

Furono due giovani carabinieri della sezione anticrimine (si chiamavano Marco Mancini e Giuliano Tavaroli, e avrebbero poi fatto molta strada) a catturare il 15 gennaio 1983 Sergio Segio, l'assassino dei giudici Guido Galli e Emilio Alessandrini.

Se Milano uscì dal tunnel, lo si deve a Dalla Chiesa e ai suoi uomini. Per questo appare inverosimile che il più fidato di quegli uomini, Luciano Seno, oggi stia pagando per colpe che non ha commesso.

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