Omicidio del negoziante: "La figlia vada in cella"

Il Riesame dà ragione ai pm: Simona Pozzi è accusata di aver fatto uccidere il padre per questioni di soldi

Omicidio del negoziante: "La figlia vada in cella"

Deve andare in carcere Simona Pozzi, accusata di aver fatto uccidere il padre Maurizio nel febbraio del 2016 ad Affori. A due anni e mezzo dall'omicidio e dopo una serie di colpi messi a segno sui fronti opposti da Procura e difesa, è arrivato l'ordine di cattura del tribunale del Riesame. Cui i pm Alberto Nobili e Antonia Pavan avevano fatto ricorso contro il no all'arresto da parte del gip Franco Cantù Rajnoldi arrivato alcuni mesi fa. L'ordine dei giudici è sospeso in attesa della decisione della Cassazione. L'avvocato della 45enne ha infatti presentato a sua volta ricorso.

Nel dare ragione alla Procura, i giudici mettono in evidenza circostanze inedite sul clima conflittuale in casa Pozzi e sul delitto del 5 febbraio 2016. Maurizio Pozzi, 69 anni e titolare di un negozio di scarpe in via Pellegrino rossi, era stato trovato dalla moglie. Era riverso nella camera da letto del suo appartamento di via Gian Rinaldo Carli e inizialmente si pensò a un malore. Ma l'autopsia rivelò che era stato colpito otto volte alla testa con un oggetto contundente (mai ritrovato). Le indagini della sezione omicidi della Squadra mobile, guidata da Achille Perone, hanno portato i sospetti sulla figlia, che avrebbe assoldato qualcuno per far uccidere il genitore. Il movente: continui litigi per motivi di soldi. Gli inquirenti stanno cercando di identificare l'esecutore materiale. Hanno però ricostruito che Simona Pozzi aveva già assoldato un killer nel settembre 2013, sempre per disfarsi del padre. Maurizio Pozzi venne aggredito con una mazza sotto la sua casa di villeggiatura di Piazzatorre, nel Bergamasco, da un uomo travisato con un casco. Secondo l'accusa, si trattava di Pasquale Tallarico, pluripregiudicato legato alla cosca dei Pompeo-Tallarico, cui la 45enne aveva promesso 3mila euro. Pagandone poi solo mille perché «non soddisfatta del lavoro». Su questo precedente tentato omicidio la vicenda giudiziaria si complica. Per Tallarico procede la Procura di Bergamo, mentre sulla richiesta di custodia cautelare della presunta mandante il gip milanese semplicemente non si pronuncia.

Sottolinea il Riesame che «negli ultimi mesi la vittima e l'indagata avevano violentemente litigato per ragioni economiche». A fine 2015 erano arrivati alle mani ed erano intervenute le forze dell'ordine. L'anziano, che era molto aggressivo, accusava la figlia di rubarle i soldi. I giudici valutano che il gip «trascura» che questi fatti «fornivano la prova logica che supera la mancanza del nesso fattuale richiesto» dallo stesso gip. È «del tutto irrilevante», sostiene la Corte, l'«alibi inoppugnabile» della donna che al momento dell'omicidio era in negozio. Ed è «inutilmente ed illogicamente sottolineato dal gip». Inoltre l'«asserito nesso fattuale nel caso in esame non potrebbe mai sussistere, tenuto conto che alla Pozzi è attribuito un ruolo di mandante». Vengono poi elencati i «gravissimi indizi» a carico della 45enne. Dopo il pestaggio del 2013 avrebbe chiesto al complice e a un'amica del veleno, «sempre per uccidere il padre». Tra l'altro lo stesso Tallarico, che ha poi confermato i sospetti degli inquirenti, intercettato di Simona Pozzi diceva a un compare: «Da questa bisogna stare alla larga...». La donna, cui era affidata la gestione del negozio, avrebbe «dilapidato il patrimonio del padre a sua insaputa», ben 750mila mila euro in cinque anni, e si era indebitata. Falsificava la documentazione bancaria e i genitori non sapevano che il 16 marzo 2016 era fissata un'udienza per la vendita all'asta del loro appartamento a causa del mancato pagamento delle spese condominiali. Non solo. Simona Pozzi «somministrava al padre alte dosi di tranquillanti».

L'ultimo fatto che per i pm inchioda la donna: la porta della casa del delitto era chiusa con la chiave e gli unici ad averla erano la vittima, la moglie e la figlia. La difesa sposa invece la tesi del gip: non sarebbero emersi elementi concreti che colleghino direttamente l'indagata all'omicidio.

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