«Aveva gli occhi spalancati, sembrava indemoniato». Francesco (lo chiameremo così) è il ragazzo che una settimana fa è stato accoltellato in metro da un 24enne che a mezzanotte, a Loreto, lo ha visto, lo ha puntato e si è messo in testa di rubargli il monopattino, disposto probabilmente anche a ucciderlo.
Francesco ha subito diverse coltellate e solo per miracolo è rimasto ferito in modo non grave. «Sei, più altre due più superficiali - racconta il padre, ancora scosso - Porta i segni di quella lotta, sul collo sono visibili. È spaventoso, tutti i colpi che ha ricevuto sono andati vicino agli organi vitali. Uno ha sfiorato la milza, uno dietro la spalla. Grazie alla Provvidenza siamo qui a raccontarlo». Curato al Fatebenefratelli, ora è a casa. Le ferite fanno ancora male, soprattutto fra un antidolorifico e l'altro. Soprattutto non è lieve, per una famiglia tranquilla, l'impatto di una simile aggressione. «È stato tremendo - racconta il padre - nessuno può immaginarsi cosa significhi ricevere una telefonata come quella, soprattutto se si ha un ragazzo tranquillo, educato, che non ha mai avuto né dato problemi».
La famiglia abita nell'hinterland, i genitori lavorano a Milano, Francesco ha 19 anni e quel monopattino se l'è comprato coi suoi soldi, lavorando anche lui, per un'agenzia. Quel terribile sabato notte era stato a Milano con lo skateboard, ha trovato un sistema per portarlo a tracolla quando va in monopattino. Stava rientrando, non troppo tardi: «Verso mezzanotte - racconta - perché non volevo prendere proprio l'ultima corsa». In quel momento è iniziato l'impensabile, quando ha imboccato a Loreto i gradini della stazione del metrò verde. «Stavo ascoltando la musica, mi facevo i fatti miei. Ho notato un ragazzo perché stava parlando con altri che parevano infastiditi. È arrivato davanti a me senza motivo né dirmi niente e mi ha strappato il monopattino. Era come alterato, non so da cosa. Ho ripreso il monopattino dicendogli di lasciarmi in pace. Allora è iniziata una specie di colluttazione, era aggressivo, ho tentato di scappare, mi ha raggiunto, era un po' più grosso di me, mi ha come abbracciato, ha tirato fuori un coltellino di quelli che si aprono a scatto, pronti all'uso, non mi sono reso conto, ho guardato e ho visto il sangue. Sono riuscito a spingerlo via e a quel punto sono intervenute altre persone, in qualche modo mettendosi intorno a lui. Sono salito sul primo treno che passava». «Ho ricevuto la sua telefonata a mezzanotte e 5 - racconta il padre - Mi dispiace ma mi hanno accoltellato mi ha detto, sono in metropolitana. Gli ho risposo di scendere subito alla prima fermata. Era a Udine, ho chiamato i soccorsi. La cosa incredibile - riflette - è che nessuno abbia fatto niente. I presenti hanno preferito fare video, foto, immortalare la scena, ma nessuno ha gridato, nessuno ha chiesto aiuto».
Questo, se possibile, è ciò che ora lo turba di più: la pericolosità che può avere Milano, per persone «normali», e l'impreparazione di chi poteva fare qualcosa ed è rimasto a guardare. «In 20 anni - riflette - ho visto Milano peggiorare sempre di più. Non avevo mai vissuto una cosa simile, ma in quella notte al Pronto soccorso saranno arrivate dieci persone ferite in modo simile. A mio figlio ho spiegato che avrebbe dovuto lasciargli il monopattino e chiedere aiuto, mettendosi a gridare, ma so anche che il monopattino era solo un pretesto». «Per me era questione di principio - spiega Francesco - non vedo perché dovrei avere paura di uscire e fare quello che mi piace senza dare fastidio a nessuno». «Se devo essere sincero - aggiunge - ho avuto paura sì. Quando lottavo con lui cercavo solo di levarmelo di dosso, ma sembrava assatanato: io volevo solo tornare a casa, la paura c'è stata quando mi sono reso conto del sangue». «Bisogna essere freddi - avverte il padre - quella è gente che non ha niente da perdere».
Al Fatebenefratelli, dopo le due, hanno riconosciuto anche l'aggressore e chiamato la polizia che lo ha perquisito trovandogli addosso il coltellino insanguinato e denunciandolo a piede libero. «Una persona così pericolosa non può essere lasciata in giro - sostiene - Noi non vogliamo giustizia individuale - spiega il padre - ma collettiva. Io voglio che qualcuno faccia qualcosa, che chi può si impegni a far sì che cose del genere non accadano più. E vorrei che la gente fosse sensibilizzata, le persone perbene non possono essere inermi in balia di tutto ciò.
La gente brava è di più dei delinquenti, ma deve sapersi difendere e aiutare. La sensazione di impotenza e paura che abbiamo provato noi ti tocca lo stomaco, senti il peso di tutta l'ingiustizia che hai ricevuto e non ti fa respirare. Non lo auguro a nessuno, non deve più succedere».
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