"La paura è un'opportunità per riprogettare il futuro"

Il presidente della Triennale, Stefano Boeri, invita curatori e artisti al "Decameron delle idee, come ai tempi della peste"

"La paura è un'opportunità per riprogettare il futuro"

La Triennale al tempo del coronavirus è più viva che mai e anzi sdrammatizza il clima cupo ispirandosi al Boccaccio; ovvero intitolando Decameron la grande assise di artisti, architetti e intellettuali che da domani fino a sabato riempiranno festosamente gli spazi vuoti della grande casa razionalista raccontandosi «storie», proprio come i novellatori fiorentini ai tempi della peste trecentesca. Ci saranno tra gli altri l'attrice Lella Costa, lo scrittore Sandro Veronesi, la conduttrice Victoria Cabello, il polistrumentista Saturnino e perfino Fedez. Le «novelle» di questo inconsueto Decameron saranno videoregistrate e trasmesse in streaming sul canale Istagram di Triennale.

Boeri, che cosa ci fa un rapper tatuato nel tempio del design e dell'architettura?

«Con questo evento, pensato per cogliere i lati positivi che sono insiti in tutte le crisi, Triennale vuole ribadire il suo ruolo di piattaforma multiculturale e transgenerazionale aperta a tutte le voci della società contemporanea. Fedez rappresenta un mediatore efficace per dialogare con le istanze del mondo giovanile. In passato avevamo già coinvolto altri personaggi dell'hip hop, come Fabri Fibra, per un dibattito sulla situazione delle periferie italiane».

L'obbiettivo è attirare i giovani nei luoghi della cultura distraendoli da Facebook?

«I giovani rappresentano un target fondamentale e già presente in Triennale, un luogo che - lo ricordo - ha nella poliedricità dei linguaggi la propria stella polare: dal design alle arti visive, dalla moda al teatro, fino alla musica, qui rappresentata anche con festival internazionali. Il nostro teatro, da solo, attira un pubblico prevalentemente sotto i trent'anni con una programmazione di altissimo profilo».

È la stessa ragione per cui avete lanciato la rassegna espositiva «Play» dedicata al gioco? Per mesi avete ospitato in Triennale una pista da skateboard dove si sono esibite decine di ragazzi...

«È un modo per cercare di parlare a mondi troppo spesso distanti dai luoghi della cultura. Lo skatepark, realizzato al piano terra dall'artista coreana Koo Jeong A, ha effettivamente attirato giovanissimi che probabilmente in Triennale non ci erano mai stati. Ecco la sfida: quanti di questi ragazzi avranno avuto la curiosità di visitare anche la collezione o i progetti espositivi?».

A proposito, ieri avete svolto a porte chiuse il primo seminario sui temi che saranno al centro della prossima Esposizione Internazionale del 2022. Vi ha preso parte una trentina di curatori, intellettuali e ricercatori. Quali spunti stanno emergendo?

«I temi sarann in continuità con l'ultima edizione appena conclusa e intitolata Broken Nature (Natura distrutta) che ha coinvolto architetti e designer in un'indagine sulle possibili strategie di ricostituzione di un Ambiente compromesso dalla manipolazione dell'uomo. La crisi del pianeta, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, è l'unico tema possibile che merita di essere approfondito anche per la prossima Esposizione».

In un mondo dove il populismo tende costantemente a delegittimare le competenze per i propri scopi, la cultura e la scienza hanno ancora margini per influenzare le scelte della politica?

«Dobbiamo augurarcelo per forza, altrimenti non saremmo qui. La cultura non può avere soltanto un ruolo di intrattenimento o di arte-spettacolo, ma ha il dovere di far riflettere sui problemi reali della società, e quindi agire politicamente perchè non c'è più tempo da perdere».

L'attuale paralisi dovuta alla paura del contagio può insegnarci qualcosa?

«Assolutamente sì, qualunque crisi è un'opportunità per capire e aprire le menti. Basti pensare che nell'ultimo mese, con il crollo degli spostamenti aerei, i livelli di Co2 in Cina si sono abbassati del 20 per cento. Dico il 20 per cento. Il futuro del pianeta è nelle nostre mani».

Lo slittamento a giugno della settimana del Design vi costringerà a modificare il programma espositivo?

«Ne stiamo discutendo in questi giorni, certamente siamo pronti ad aggiustamenti per quando riguarda le date, ma i contenuti del palinsesto non cambiano. A cominciare dall'omaggio a grandi maestri come Enzo Mari o Vico Magistretti di cui si celebra il centenario della nascita».

Perché la scelta di mostre personali, anzichè progetti più trasversali?

«È una strategia che considero in linea con l'identità di un'istituzione, la Triennale, che ha una grande tradizione di storie e di individui più che di movimenti stilistici. Figure come Magistretti, Sottsass, Gio Ponti, Castiglioni o Mari racchiudono la potenza e la complessità delle vite rinascimentali di vasariana memoria».

Nei vostri seminari figurano anche esponenti di grandi istituzioni internazionali come il Moma di New York e Fondation Cartier. Della fondazione parigina esporrete parte della collezione e vi saranno anche mostre co-prodotte. Come è nato questo sodalizio?

«Ci siamo accorti che tra noi e loro esistevano forti affinità sotto il profilo dell'approccio scientifico. Fondation Cartier lavora da anni sui temi dell'ambiente, basti pensare alla mostra dello scorso dicembre Gli alberi siamo noi, e anche sulla situazione dei Paesi post-coloniali. Quanto al Moma, il prossimo luglio ospiterà la nostra mostra Broken Nature.

Nel suo mandato di presidenza ha avviato significative ristrutturazioni interne, come il ripristino dell'impluvium, della curva totale al primo piano, e del ristorante sul giardino per pranzare sotto il porticato. Perchè questi interventi?

«Ho semplicemente voluto ricongiungermi al progetto originario di Giovanni Muzio ed eliminare modifiche che furono fatte durante questi anni e che avrebbero dovuto essere provvisorie. Grazie al cielo questo edificio è stato concepito in maniera geniale, contrapponendo alla monumentalità esterna una grande duttilità degli spazi. Alcune modifiche sono state efficaci, come la scala elicoidale, altre molto meno. La riapertura dell'impluvium, alto 15 metri e mezzo, permetterà di esporre progetti e installazioni di grandi dimensioni. Del resto ricordo ancora le parole di Muzio: fate di quest'edificio ciò che volete, ma che motivo c'era di chiudere l'impluvium?...».

Anche per il Museo del Design ci

sono novità in vista?

«A giugno, durante il Salone, rivoluzioneremo l'esposizione esponendo l'80 per cento di pezzi nuovi frutto di acquisizioni e di oggetti già in possesso della collezione. Chi si ferma è perduto».

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