Piera Anna Franini
Alle ore 18 si riunisce il Cda della Scala. Verrà ufficializzato il nome del futuro sovrintendente del teatro. Se ne va Alexander Pereira e dovrebbe subentrargli Dominique Meyer. Usiamo il condizionale perché alla Scala i colpi di scena non mancano mai. Oggi si esaminano i desiderata di Pereira e Meyer, il parere dei consiglieri e - speriamo - le esigenze del teatro. Quindi si delibererà.
Pereira, il cui contratto scade nel febbraio 2020, conta su una proroga del mandato di altri due anni, e si è sempre detto contrario a un prolungamento di un solo anno. Reclama di poter seguire le prossime stagioni lavorando al fianco del direttore musicale Riccardo Chailly fino al 2022. Meyer è all'Opera di Stato di Vienna fino all'estate 2020, poi è libero: accetterebbe di dividersi le deleghe con Pereira per un anno o due? Parrebbe poco probabile. Già conosce le difficoltà di questi avvicendamenti; a Vienna, non fu idilliaca la convivenza col predecessore Ioan Holender. È un'impresa affiancare due leader anche se è stato modificato lo Statuto del teatro proprio per individuare la figura del sovrintendente «designato» in grado di pianificare il futuro mentre il sovrintendete uscente veglia sui lavori in corso. Altro nodo. Sala vorrebbe la divisione della figura del sovrintendente da quella del direttore artistico, è però noto che Meyer non ami e neppure abbia mai praticato tale diarchia. Se la transizione fallisse e si aprisse un interregno fra l'entrante e l'uscente, non è da escludersi la figura di un sovrintendente pro-tempore. Potrebbe essere Maria Di Freda? È il direttore amministrativo, ha lo stesso stipendio di Pereira, 240mila euro, ma la garanzia di un contratto a tempo indeterminato.
In Pereira il piglio dell'imprenditore e del manager vincono sulle abilità di leadership. Ha potenziato l'Accademia della Scala, ha dato una scossa al bagarinaggio, ha dato occhio al nuovo e al vecchio pubblico, ha portato i giovani in un teatro aperto alla città. Ha raccolto 58 milioni di sponsorizzazioni, cifra che ne fa un fund-raiser imbattibile soprattutto in Europa dove le donazioni per la cultura oscillano fra il 4 e il 15% dei budget degli enti. Tuttavia galeotta è stata la mancanza di tatto nel gestire situazioni di cristallo: che vanno in frantumi con uno sguardo, figuriamoci se entri a gamba tesa. Tale attitudine ha infiammato l'animo di alcuni consiglieri maldisposti nei suoi confronti, e sul piatto della bilancia ha pesato più la forma che la sostanza.
Meyer arriva da un teatro di serie A, proprio come la Scala. Anche il bilancio è simile, 126,495 milioni per il teatro milanese e 124 milioni per quello viennese. Poi le cose divergono. La Scala ha un'attività per stagione, Vienna di repertorio. Vuol dire che la prima produce spettacoli nuovi, poi ne riprende altri ma sempre con cast nuovi. Di repertorio assicura spettacoli preconfezionati, con compagnie di canto stabili, e poche première. Il primo costa di più e produce meno, ma assicura freschezza, il secondo produce tanto, costa meno, ma addio novità.
Alla Scala, i contributi pubblici sono il 32,5% del bilancio, il resto deriva da botteghino e donors. A Vienna, la percentuale di contributi pubblici supera il 50% mentre sono irrisori i capitali privati. Alla Scala l'indice di riempimento del teatro è dell'80%, all'Opera di Vienna del 94%.
Ma attenzione. A Vienna la sera della recita si vendono anche 600 biglietti (posti in piedi) a 4 euro. Tant'è che la Scala conta meno spettatori dell'Opera di Vienna ma a fine anno l'incasso dei teatri è la stesso: 35 milioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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