Permessi di soggiorno per soldi e droga: sei poliziotti in manette

Decapitata la banda in divisa che gestiva il racket dei documenti fasulli agli stranieri

Luca Fazzo

Lo avevano arrestato nel novembre dell'anno scorso, dopo averlo scoperto a vendere permessi di soggiorno in cambio di soldi e droga: il poliziotto Alessio Condò, in servizio all'Ufficio Immigrazione della Questura, una volta finito in carcere ha scelto di «cantarsela», rivelando l'esistenza di una specie di Cupola in divisa che gestiva il racket dei permessi fasulli, trascinando nei guai un manipolo di altri colleghi. Le confessioni di Condò e le indagini della Squadra Mobile portano ieri mattina ad una retata che spedisce in carcere altri quattro poliziotti, mentre altri due finiscono agli arresti domiciliari e due vengono sospesi dal servizio. I primi quattro sono accusati di associazione a delinquere, in testa al gruppo un veterano di via Fatebenefratelli, il sovrintendente capo Domenico Rubino.

L'ordinanza di custodia - spiccata dal giudice Livio Cristofano su richiesta del pm Paolo Filippini - definisce Rubino «il vero organizzatore e promotore del gruppo», «colui che arruola i nuovi colleghi, intesse i rapporti con gli intermediari» e manifesta «un atteggiamento di autorevolezza e carisma derivante dalla propria esperienza storica». Tutt'altro che un insospettabile, secondo il giudice: «pur essendo stato lambito da precedenti indagini e sospettato nell'ambiente di essere uno dei protagonisti del sistema corruttivo che ha spesso coinvolto nel tempo l'Ufficio Immigrazione», Rubino ha «proseguito imperterrito nella sua attività criminale», escogitando le contromisure per schivare i controlli disposti dai vertici della Questura: che la puzza di bruciato evidentemente la sentivano, ma fino alla confessione di Condò non erano riusciti a incastrare i corrotti.

Da cinquecento a cinquemila euro, in base al reddito: questa era la tariffa imposta da Rubino e dalla sua banda agli stranieri che ogni mattina si mettono in coda su via Montebello per chiedere il permesso di vivere e lavorare in Italia. La gang individuava i casi più difficili, quelli che per le vie legali non sarebbero mai riusciti a avere il permesso: poi, attraverso intermediari anch'essi stranieri, proponevano l'accordo. Tra gli intermediari, il marocchino Said Sabbar, che pare si presentasse come esponente del consolato del paese maghrebino: una verifica alla Farnesina ha escluso che sia coperto da immunità diplomatica e anche per lui è scattata l'ordinanza di arresto (non eseguita perché si è reso irreperibile).

Per i poliziotti arrestati la corruzione era stata scelta «come sistema di vita e quale metodo di integrazione sistematica del proprio reddito». Nella Cupola insieme a Rubino c'erano due suoi fidati collaboratori, gli agenti Emilio Puro e Piergiorgio Patena, in servizio presso i commissariati di Lorenteggio e Porta Genova, e il collega Concetto De Luca, definito la longa manus di Rubino.

I casi accertati sarebbero alcune decine, ma gli inquirenti ipotizzano che il giro d'affari fosse assai più vasto. Altrimenti non si capisce come uno dei poliziotti avesse potuto comprarsi una villa antica da settecentomila euro, ora finita sotto sequestro.

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