«L'errore è certo». Non solo. «È indubbio che Pereira sia andato oltre i propri poteri. Ha sbagliato e ha chiesto scusa, ma certo le scuse non potevano essere sufficienti e su questo il cda è stato unanime». Parole durissime (almeno quelle, perché poi morbide sono state le decisioni) quelle di Giuliano Pisapia per spiegare le decisioni prese dalla Fondazione Scala di cui lui, in quanto sindaco, è presidente. Una censura che non dovrebbe lasciare alcuno spazio ai dubbi nel comportamento da tenere con il sovrintendente designato Alexander Pereira per il contestatissimo acquisto (690mila euro) di quattro opere dal Festival di Salisburgo che lui stesso dirige e di cui risanerà i bilanci.
E, invece, no. Perché Pereira, pur responsabile di «errore certo», resterà al suo posto. Incredibile. Solo in un'Italia patria degli azzeccagarbugli Pisapia può chiedere a Pereira di presentare le sue «immediate dimissioni dal dicembre 2015». Ora, se almeno l'italiano e la logica non sono diventate il regno dell'arbitrio (e quindi dell'ingiustizia), le dimissioni o sono «immediate» o sono «dal dicembre 2015». Perché se c'è un buon motivo per allontanare Pereira, lo si sarebbe dovuto fare immediatamente o questo motivo non c'è e allora non si vede perché chiedergli di andarsene, seppur a dicembre 2015. Tutto il resto è navigazione sottocosta, assolutamente inadeguata per quello che ci vantiamo essere il palcoscenico più prestigioso del mondo. Magari ricordando tempi in cui un sindaco e presidente della Fondazione Scala affrontò lo scontro tra Titani come il maestro Riccardo Muti e il sovrintendente Carlo Fontana. Lì sì, tutti e tre, protagonisti della storia della Scala. E di Milano. Con tuto il rispetto di Pereira di cui, almeno per il momento, sono in molti a chiedersi che cosa abbia fatto per essere considerato indispensabile. Tanto da non riuscire a trovargli un sostituto non per un cartellone di routine, ma per quello del 2015 che con l'Expo porterà visitatori e capi di Stato da tutto il mondo. Di qui l'incredulità nel sentire Pisapia che a proposito del papocchio escogitato, parla di «unica soluzione possibile per evitare il disastro per la nostra Scala». A Pereira è stata fatta «una contestazione formale degli addebiti e formale diffida a un comportamento corretto». Con, per di più, la richiesta che per la stagione 2014/2015 «ogni sua futura proposta di spesa, sia per contratti con artisti sia con teatri, deve avere il consenso preventivo del cda». Un commissariamento umiliante per chi lo riceve, ma soprattutto per chi lo fa. Perché la Scala si merita un sovrintendente di cui fidarsi: checché ne dica Pisapia, la fiducia non può essere «a termine». La fiducia uno la merita, oppure non è mai.
L'assessore regionale alle Culture Cristina Cappellini considera «deprecabile la decisione di Pisapia che avalla la comprovata mala gestione». E Fiorenzo Tagliabue, il membro designato dalla Regione da cui è arrivato il voto contrario, colpisce duro dicendo che «il cda ha perso una grande occasione di mandare un segnale chiaro che la Scala è un'istituzione seria e indipendente, dove chi non rispetta le regole è fuori». Aggiungendo un altro elemento di indubbia gravità.
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