Piera Anna Franini
Il Festival Musica sull'Acqua chiude sabato con una serata speciale, nella basilica di San Nicolò, a Lecco.
A condurre la Mach Orchestra è Diego Matheuz, giovane direttore venezuelano, un tempo alla Fenice di Venezia. Mach sta per Music Art Creativity Hub poiché si tratta di un'orchestra - classe 2018 - dove confluiscono giovani talenti da ogni parte del mondo che suonano insieme alle prime parti di formazioni nate intorno al pensiero musicale di Claudio Abbado, dunque l'orchestra del festival di Lucerna, la Mozart e la venezuelana Simon Bolivar. O meglio, quel che rimane della Simon Bolivar, il complesso nato negli anni Settanta per volere di Antonio Abreu sta infatti implodendo. Era il fiore all'occhiello del sistema di formazione concepito per educare o rieducare i ragazzi venezuelani provenienti dai barrios, ma anche da classi sociali medie. Il caso, quest'ultimo, del direttore d'orchestra Gustavo Dudamel, sicuramente la punta di diamante del sistema.
Il prode Gustavo rimane il più giovane direttore ad aver condotto i Wiener nel leggendario concerto di Capodanno, e oggi è alla testa della Filarmonica di Los Angeles: lo stipendio di 3 milioni di dollari l'anno ne fa il direttore più pagato degli Stati Uniti. Proprio Dudamel, che abbiamo incontrato a Milano per l'evento Rolex, ci ha spiegato che riceve lettere dei musicisti della Bolivar. Gli chiedono aiuto.
«Anche i miei famigliari sono rimasti in Venezuela. La situazione è estremamente difficile, bisogna uscirne il prima possibile. Dobbiamo lavorare intensamente perché questo accada. Io lo faccio col mezzo dell'arte. Sono ottimista», ha spiegato Dudamel che nel 2017 si vide cancellare la tournée americana della Bolivar. Fervido ambasciatore del Venezuela di Hugo Chavez, ne diresse pure i funerali di Stato, all'apice della carriera Dudamel ruppe il silenzio criticando la politica del proprio Paese. E per questo, Nicolas Maduro lo inserì nell'indice delle personalità proibite. La Simon Bolivar è stata la beniamina di tanti festival e teatri europei, a partire dalla Scala che la elesse a complesso residente durante la fase estiva di una stagione extra-large come quella fiorita attorno a Expo 2015.
Cecilia Bartoli volle la Bolivar a Salisburgo per il suo Festival di Pentecoste. Ora, l'orchestra perde continuamente pezzi in linea con una diaspora che sta interessando gran parte del Paese. Lo stesso Matheuz, che ha casa a Berlino, racconta che «ormai l'85% dei musicisti della Bolivar sono emigrati un po' ovunque, in Europa, America Latina, negli Stati Uniti. Vanno dove trovano lavoro. La mia ultima volta a Caracas risale al febbraio scorso. Prima andavo in Venezuela anche sei volte l'anno, ma con questa situazione correrei solo rischi. C'è tanta criminalità, i supermercati sono vuoti. Non vedo l'ora di tornare nel mio Paese, magari anche a viverci. Credo sia il sogno di tanti, perché una cosa è andarsene per scoprire nuovi mondi, e noi musicisti siamo perennemente in viaggio, ma un'altra cosa è essere costretti a fare le valige».
Pupillo di Abbado, Matheuz confessa che è stato il musicista «che in assoluto ha inciso più di tutti sul mio essere artista. Ricordo il nostro primo incontro, a Bolzano. Io suonavo il violoncello nell'orchestra Mozart.
Abbado mi diede la bacchetta e disse: dirigi. Era l'ultimo movimento della Settima Sinfonia di Beethoven. Andai con l'incoscienza del ragazzo».Ed è la stessa Sinfonia in programma sabato 20, preceduta dal Concerto di Dvorak con Pablo Ferràndez al violoncello.
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