Quando «Merisi superstar» non piaceva ai collezionisti

Gallerie d'Italia, in una mostra i gusti di un'epoca divisa tra epigoni e nuovi maestri. Epicentro Genova

Mimmo di Marzio

Un'esposizione d'arte, per lasciare il segno e non essere mero intrattenimento, dovrebbe aprire la mente oltre che i sensi, ovvero ispirare riflessioni, approfondimenti storici, parallelismi estetici, anche a rischio di essere didascalica. Sotto questo profilo, la mostra intitolata «L'ultimo Caravaggio, eredi e nuovi maestri» inaugurata alle Gallerie d'Italia, è esperienza di gran lunga più interessante della pur ricca antologica dedicata a Michelangelo Merisi a Palazzo Reale. Lì si ha l'opportunità, code permettendo, di ammirare in una volta sola venti capolavori del popolare maestro, alcuni per altro fruibili tutto l'anno nei musei del Belpaese. Alle Gallerie d'Italia, invece, il Caravaggio viene preso a pretesto dal curatore Alessandro Morandotti per un'analisi sul gusto dell'epoca e su come il controverso maestro seicentesco abbia ora influenzato il mondo degli artisti e un collezionismo avido di novità, ora aizzato antagonismi da parte di chi gli preferiva contemporanei di non inferiore valore ma di poetica e stilemi profondamente diversi.

La storia nasce a... Genova, città forse non prolifica di grandi maestri ma, in quanto capitale mercantile e finanziaria, crocevia delle maggiori correnti artistiche europee che dalla Spagna passavano per le Fiandre e poi ancora per la corte borbonica di Napoli, per la Roma pontificia e il Ducato di Milano. Dalla Repubblica genovese due fratelli banchieri con la malattia del collezionismo, Marcantonio e Giovan Carlo Doria, partivano a ogni piè sospinto per accaparrarsi le opere dei grandi artisti del momento. Le loro ricchissime collezioni rappresentano l'anima della mostra di Milano e lo specchio di un gusto artistico che spaccava in due lo Stivale ancora nel 1610, anno di realizzazione del Martirio di Sant'Orsola che apre la mostra e che è contestualizzato nel momento di massima fama del Merisi. Eppure. Acquistata a Napoli in moneta sonante da Marcantonio, che era inebriato dei guizzi di luce vivida dei cavaraggeschi, l'opera venne accolta tiepidamente a Genova dove la moda artistica radicata era un'altra: quella più coloristica e mistica della pittura lombarda di un Procaccini, influenzata dagli emiliani Correggio e Parmigianino oltre che dalle vigorose suggestioni di Rubens. Non è un caso che la mostra alle Gallerie d'Italia si apra con due capolavori a confronto: il suddetto Martirio dipinto da Caravaggio e la versione del genovese Bernardo Strozzi. Stesso tema, due quadri quasi antitetici. Il primo dal verismo quasi cinematografico di una donna intenta nell'ultimo disperato tentativo di strapparsi la freccia dal grembo; il secondo, manierista nello studio del colore e dei dettagli, raffigura una vera santa che nel martirio esprime tutta l'estasi retorica del barocco europeo.

Due quadri e due mondi antitetici ma non privi di sotterranee contaminazioni sono quelli che si diramano nelle sale di Gallerie d'Italia, in un percorso che espone capolavori provenienti dai maggiori collezioni pubbliche e private, compresa ovviamente quella di Intesa Sanpaolo. Un ricco percorso composto di 50 dipinti, non senza sorprese e non senza coupe de theatre, come l'esposizione della monumentale Ultima Cena del Procaccini, tela di 40 metri quadrati visibile in via eccezionale al di fuori della basilica della Santissima Annunziata del Vastato di Genova. Il curatore divide dapprima in modo netto le sale dei cavaraggeschi - tra cui spiccano capolavori napoletani dello Spagnoletto e di Battistello Caracciolo - e quello dell'asse Genova-Milano, tra cui opere importanti del Procaccini come il bellissmo «Estasi della Maddalena» proveniente dalla National Gallery di Washington. Successivamente mette in luce le numerose contaminazioni e confronti, come quello tra i due «Davide con la testa di Golia» del cavaraggesco francese Simon Vouet e di Bernardo Strozzi.

Non mancano le «matrici» europee, come nel caso di Peter Paul Rubens, qui esposto anche nel ritratto del banchiere Giovan Carlo Doria mentre è a cavallo. O come Anton Van Dyck che, come Rubens, stette a Genova per diverso tempo alla corte della famiglia Doria. Gli artisti, allora come oggi, hanno sempre seguito la geografia dei soldi.

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