Quelle opere scandalose nel museo chiamato Milano

Ben prima del «Dito» di Cattelan, la città accolse arte provocatoria: dalla Ca' di ciapp alla «Dona con tri tett»

Quelle opere scandalose nel museo chiamato Milano

Quando il 24 settembre del 2010 venne inaugurata la scultura L.O.V.E. di Maurizio Cattelan, un gigantesco dito medio in marmo di Carrara nella centralissima piazza Affari, qualcuno gridò al cattivo gusto. Il leit motiv fu la classica accusa nei confronti di un'arte contemporanea che, per colpire, deve a tutti i costi scandalizzare. Sarà. Eppure, a ben guardare, Milano è costellata di opere pubbliche a dir poco provocatorie dove le allusioni sessuali vennero sbandierate da artisti e decoratori di ogni epoca e che fanno parte da sempre dell'arredo urbano della città, al punto da sfuggire spesso allo sguardo distratto dei passanti. Si parte addirittura dal Medioevo, se consideriamo un particolarissimo bassorilievo custodito al Museo d'arte Antica del Castello Sforzesco, che mostra una figura femminile intenta a depilarsi il pube con le gambe divaricate. Stiamo parlando della famigerata «Tosa impudica», così ribattezzata in quanto l'oscena scultura realizzata nel XII secolo era fino alla metà dell'800 situata nella zona di Porta Vittoria, allora chiamata Porta Tosa. Da cui la metafora dialettale. Sull'origine e il significato dell'opera circolano molte tesi: secondo una di queste potrebbe trattarsi di un'immagine celtica di tipo scaramantico, ma c'è addirittura chi identifica la «tosa» nella moglie di Federico Barbarossa, Beatrice di Borgogna, raffigurata con spregio dopo la rovina di Mediolanum.

Facendo un balzo a inizio Novecento, i veri milanesi forse ricorderanno le due femmine voluttuose e decisamente curvy fatte scolpire dall'architetto Giuseppe Sommaruga all'ingresso del suo Palazzo Castiglioni in corso Venezia, uno dei primi gioielli liberty della città. Le due donne, realizzate in una posa provocante che metteva in ampio risalto il lato B, fecero ben presto ribattezzare l'austero palazzo in... Ca' di Ciapp; un epiteto popolare certamente simpatico ma che fece storcere il naso ai borghesi residenti al punto da richiederne lo spostamento. Oggi le due sculture campeggiano, un po' più defilate, in Via Buonarroti 48 all'ingresso di Villa Faccaroni, quella che oggi è la Clinica Columbus. Restando alla sinuosa e ammiccante Belle Époque, impossibile non citare le decorazioni liberty sulla facciata di Casa Galimberti che, tra coloratissime ceramiche a motivi floreali, mostrano l'immagine di donnine mezze nude nell'atto provocante di offrirsi ai passanti. Non è un caso se ancora oggi viga la leggenda popolare, tutt'altro che confermata, che la casa ospitasse un bordello.

Eccoci invece al religiosissimo Cimitero Monumentale che, tra i monumenti funebri, ospita una statua dedicata alla nobile milanese Isabella Airoldi Casati, realizzata a dimensioni reali in bronzo nel 1890-1891 dallo scultore Enrico Butti. Pur intitolata «La morente» (la sventurata moglie del conte Gian Luigi Casati morì a soli 24 anni), la nudità e la posa platealmente lasciva della giovane scatenarono già all'epoca dell'inaugurazione vivaci polemiche contro lo scultore. Non si era infatti mai vista un'opera tombale così erotica. Ancora oggi pare sia una delle statue più visitate al Famedio.

Tornando al suolo urbano, vale la pena menzionare un'altra scultura di inizio '900 posizionata nella nicchia della deliziosa Fontana dei Tritoni, tra via Andegari e via Romagnosi, a due passi dalla Scala. La statua, allegoria neoclassica del risparmio realizzata dall'architetto Alessandro Minali, venne presto ribattezzata dai milanesi la dòna di trè tètt (la donna con tre tette). Il terzo seno è in realtà solo uno sferico salvadanaio tenuto tra le mani della giovane donna seminuda. Ma l'ambiguità (voluta?) rimane.

Infine, tra le opere pubbliche più celebri divenute un simbolo sessuale, sia pur a sfondo scaramantico, non si può non citare l'internazionale mosaico del toro nell'Ottagono della Galleria.

Omaggio alla Torino di Vittorio Emanuele, l'animale è ritratto con gli attributi ben in vista, simbolo di potenza e vigore, e usanza vuole che porti fortuna schiacciarli con il tacco della scarpa ruotando su sè stessi. Una fama evidentemente meritata, visto che ogni tentativo di restauro del «buco» dura soltanto pochi mesi...

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