Cosa significa «bullismo sessuale»? A questa domanda la maggioranza dei ragazzi risponde con una parola: stupro. Ignorano, i giovani ignorano il vero significato del concetto, rivelando di non percepire soprattutto il peso psicologico dei loro pericolosi comportamenti, per questo Tamara Turner - Moore e Brendan Gough, ricercatori della Leeds Metropolitan University inglese, hanno dato vita ad «Asbae», il primo studio sul tema del cyberbullismo e del bullismo sessuale, coinvolgendo cinque organismi no profit: Demetra in Bulgaria, Papilot in Slovenia, Leap del Regno Unito, Marta in Lettonia e Pepita onlus in Italia.
Finanziato dalla Commissione europea, «Asbae. Addressing sexual bullying across Europe» è stato introdotto ieri nella sala Pirelli della Regione Lombardia da Carolina Pellegrini che fa parte della Commissione pari opportunità. La ricerca ha coinvolto 240 ragazzi nei cinque Paesi e duemila in Italia dai 13 ai 18 anni, intervistati negli oratori e nei centri giovanili. «Helps parents», «Aiutateci genitori e adulti». Questo è il grido che arriva dalle voci che mute navigano via etere non capendo le tragiche conseguenze delle loro parole. «Il 75% degli interpellati non conosce la definizione di «bullismo sessuale» e lo scambia con gesti estremi, quando invece il primo istinto di un ragazzo che naviga è di criticare pesantemente l'aspetto delle coetanee, sia nel fisico che nel modo di vestire» ha spiegato Ivano Zoppi, presidente e fondatore di Pepita onlus.
Altri dati creano sconcerto. Facebook impone l'iscrizione dopo i 13 anni, mentre i «bambini» cominciano ad avere un profilo fin dai dieci. Un profilo? Magari. Ne hanno anche tre o quattro. Uno in cui si mostrano perfetti per ingannare i genitori, gli altri dove scaricano i loro impulsi proibiti. Avvertono il senso del proibito? Sì, tanto è vero «che il 60% ha più chiaro il significato di un gesto negativo quando lo commette che quando lo subisce». Le vittime del bullismo sono soprattutto le femmine. Ma la vittima peggiore è la nostra filosofia educativa e soprattutto la nostra indifferenza culturale.
«Purtroppo i media si occupano del problema solo quando arrivano i casi di suicidio. Per documentarmi sull'argomento ho fatto una ricerca in internet. Non esiste alcun studio prima di questo sul bullismo» ha diciarato Monica Triglia, vice direttore di «Donna Moderna». Non solo da parte dei ragazzi, ma soprattutto da parte degli adulti c'è scarsa consapevolezza del fenomeno, che si è di molto aggravato dall'arrivo della rete. Quando i ragazzi realizzano che ripetere «cicciona» a una compagna non è bello, ritengono questa una bravata o uno scherzo. Uno scherzo che in rete non si cancella mai più. «Un giovane non è consapevole del fatto che una volta scritta una cosa su Facebook non sparirà mai.
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