"Rapporti uomo-donna? Internet li ha stravolti"

L'attrice da oggi al Parenti con l'atto unico "Sogno d'autunno" del norvegese Jon Fosse

"Rapporti uomo-donna? Internet li ha stravolti"

«Leggo poco il teatro, colpa della mia invincibile pigrizia. Non conoscevo il norvegese Jon Fosse». Giovanna Mezzogiorno, attrice tra le più preparate, da poco nominata in Francia Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres, sarà al Parenti da oggi al 2 aprile con Sogno d'autunno, dramma nordico di un autore poco praticato in Italia, di culto nel resto d'Europa.

Ha qualcosa da spartire con il conterraneo Henrik Ibsen? «Difficile non tenere conto di un drammaturgo che chiunque dovrebbe onorare. Ma Ibsen, dice Fosse prendendone le distanze, è troppo cattivo, più cattivo di lui».

Come considera Fosse?

«Ha una scrittura complessa, ipnotica. Non è generoso, da autore non ti aiuta mai. Richiede grande sforzo per metterlo in scena».

Lei ci è riuscita con successo, vista l'accoglienza a Torino e Padova. Cosa si aspetta da Milano?

«Ho vissuto a Milano, è città colta e curiosa. È la mia prima volta al Parenti. Il regista Valerio Binasco, con il quale ho lavorato per il film La bestia nel cuore di Cristina Comencini, ha sfoltito il testo e fatto un lavoro di cesello sui personaggi. Ora sono sicura che Fosse arriva diretto al pubblico».

Che cosa racconta l'atto unico?

«Sono in scena con Michele Di Mauro, Milvia Marigliano, Nicola Pannelli, Teresa Saponangelo. Tratta di un rapporto di coppia in forte crisi. Un incontro, con cimitero sullo sfondo, che porta a galla il non detto che lega quell'uomo e quella donna».

Non vogliamo sapere di più. Ma chiediamo: il rapporto uomo-donna non è sempre lo stesso, negli aspetti più profondi, fin dall'antichità?

«Sì, è lo stesso. Ma internet, l'iPhone e i social lo stanno cambiando in modo spaventoso».

Lei non è social?

«Per niente. Mi stupisco quando vado in teatro con il tram, come a Torino, nel vedere tutti ipnotizzati dai telefonini. Per non parlare di quelli che li mettono sul tavolo, a cena. Ho figli piccoli, lo vieto in famiglia, quando si mangia e si chiacchiera. Sarà la mia pigrizia fondante, ma i social lì evito: non ho voglia di dare la mia opinione su tutto, come si usa. Preferisco leggere».

Cosa vuol dire, per un'attrice, fare teatro?

«È irrinunciabile. Sono stata rapita dal cinema, ma sento l'esigenza di calcare i palcoscenici, ogni tanto, con lavori di qualità come questo o 4:48 Psychosis di Sarah Kane, portato in scena nel 2004. Il rapporto con il pubblico che sembra di toccare, per un attore è la messa a punto della propria capacità. Il cinema non darà mai la stessa sensazione».

Un difetto del teatro italiano?

«Non ne so abbastanza per dare un giudizio. Credo soffra per mancanza di idee. Pochi sono innovativi come Binasco: le idee non gli mancano, sono felice di lavorare con lui».

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