Cronaca locale

Rimborsopoli lombarda: chiesti 145 anni di carcere

Cene e caramelle coi soldi pubblici, il pm: «Condannare 56 consiglieri». Alla sbarra anche Minetti e Bossi jr

Cristina Bassi

Due anni e dieci mesi di carcere per Renzo Bossi, due anni e due mesi per Nicole Minetti. Condanne per un totale di 145 anni per 56 consiglieri ed ex consiglieri della Regione. E una assoluzione, per l'ex assessore Pdl Massimo Ponzoni. Sono le richieste del pm Paolo Filippini alla fine di una lunga requisitoria nel processo sulla cosiddetta «Rimborsopoli» lombarda.

I politici, di tutti i partiti, sono accusati nella maggior parte dei casi di peculato. Avrebbero chiesto rimborsi pubblici non dovuti per «spese pazze» non attinenti all'attività istituzionale. Tra le pene più alte chieste dall'accusa, quella a sei anni per l'ex capogruppo della Lega Stefano Galli e quella a quattro anni per l'ex presidente del Consiglio regionale Davide Boni, anche lui del Carroccio. Galli, per la Procura, avrebbe speso 6mila euro di soldi pubblici per il matrimonio della figlia. Mentre Boni, come alcuni altri imputati, risponde anche di truffa. Secondo il pm infatti, avrebbe fatto passare per consulente il proprio autista personale. Alla sbarra ci sono consiglieri attualmente in carica. Così Alessandro Colucci del Pdl (chiesti 2 anni e 2 mesi), Luca Gaffuri, ex capogruppo del Pd (1 anno e 10 mesi), Chiara Cremonesi di Sel (2 anni e 10 mesi). Inoltre il pm ha chiesto un anno e dieci mesi per l'europarlamentare di Forza Italia Stefano Maullu, un anno per la storica esponente della lista dei Pensionati Elisabetta Fatuzzo, tre anni per l'ex consigliere del Pdl Massimo Gianluca Guarischi, già condannato in primo grado in un altro processo per presunte mazzette nella Sanità, un anno e dieci mesi per l'ex senatore del Pdl Giorgio Pozzi, quattro anni per l'ex consigliere del Pdl Gianluca Rinaldin.

Filippini ha chiesto per quasi tutti gli imputati la concessione delle attenuanti generiche e l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, che scatterebbe in caso di condanna definitiva. L'accusa a Minetti è di aver pagato con fondi pubblici soprattutto cene e consumazioni in locali della movida per quasi 20mila euro. Bossi jr. invece si sarebbe fatto rimborsare oltre 15mila euro di caramelle, spazzolini, cocktail, iPad. Il pm ha ricordato che ogni consigliere percepiva 8.500 euro al mese per le «funzioni» e un'indennità aggiuntiva di 6mila euro tra diaria e spese di missione «onnicomprensive». Per aggiungere: «L'attività istituzionale si fa nelle sedi e negli orari istituzionali, non a cena la sera». Il magistrato ha insistito sulla mancanza di giustificativi delle spese sostenute. Non bastano, ha aggiunto, a discolparsi né la «buona fede» né la «prassi». Perché la legge «è chiarissima e se si è fatto così per cinquant'anni, lo si è fatto contro la legge». Non tiene poi l'alibi delle «spese di rappresentanza»: è ingiustificato anche «l'aperitivo offerto a un interlocutore istituzionale, come il toscanello, il caffè e lo champagne». Regali fatti spesso per esigenze di partito e per «mantenere il consenso». Ha concluso Filippini: «Questa inchiesta non ha sparato nel mucchio. Non è vero che tutti si comportano allo stesso modo per una prassi inveterata. Ci sono consiglieri che non sono stati nemmeno sfiorati da questa indagine, che non hanno speso un euro in più del budget che avevano a disposizione».

Alla prossima udienza, il 19 aprile, sono previste le repliche delle difese.

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