Cronaca locale

La rimpatriata di Salvini. E (anche) in Comune strizza l'occhio ai grillini

Il leader del Carroccio in consiglio comunale: "I 5 stelle? Li conoscevo poco, come loro la Lega"

La rimpatriata di Salvini. E (anche) in Comune strizza l'occhio ai grillini

Si potrebbe dire che lontano da uno scranno di un'aula consiliare non sa stare. Forse, è vero, non è sempre costante, ma la sua presenza nei luoghi in cui viene eletto è di solito legata a momenti politicamente da evidenziare. Per anni a Bruxelles da eurodeputato ha disertato molte sedute, facendosi però vedere quando lo scenario lo richiedeva. A breve sarà a Roma, dove siederà (quantomeno) in Senato dopo l'elezione in terra di Calabria. Eppure in un pomeriggio di inizio primavera Matteo Salvini stupisce tornando a sorpresa a Palazzo Marino, da semplice consigliere comunale, ma anche da presidente in pectore del Consiglio (dei Ministri) designato dal centrodestra.

Le sedie di legno foderate di rosso dell'aula milanese sono l'occasione per farsi fotografare in fila con gli altri due «promossi» del suo partito: Massimiliano Bastoni e Alessandro Morelli destinati, come lui, a lasciare la sedia per lidi più iridati. Il primo per palazzo Pirelli, il secondo per Montecitorio. «Ma non è ancora il momento delle dimissioni», dice Salvini ai cronisti che si aspettavano già ieri il gesto. In effetti, non sarà probabilmente una defezione unitaria, quella dei tre leghisti di Palazzo Marino. «Le cariche non sono incompatibili, ci dimetteremo, ma con calma» si sente dire fra i banchi. Potrebbe trattarsi infatti di un abbandono graduale: il primo «in tempi rapidi» e, per forza di cose, sarà proprio il segretario del Carroccio al quale subentrerebbe Gabriele Abbiati, primo dei non eletti e già consigliere municipale in zona 5. Nella lista delle amministrative del 2013 seguirebbero - dopo Gianmarco Senna, eletto in Regione - due amministratori di quartiere: Francesca Testa, quarantenne attiva in Municipio 4 e Luca Lepore, assessore in zona 2.

Nel pomeriggio in piazza della Scala c'è un momento in cui Matteo, tornato per un attimo il ragazzo con la felpa verde - sebbene indossi una più presidenziale giacca blu - legge perfino i fogli gialli degli ordini del giorno del Comune, mentre qualche collega parla di buche. Chissà che ormai queste non gli appaiano come piccole beghe cittadine. Dura poco la permanenza in aula, ma è sufficiente a portare l'atmosfera di collaborazione con i grillini che si respira in queste giornate romane: anche rispetto ai vicini di banco milanesi dei 5Stelle riecheggia infatti l'«inizio» dell'era istituzionale giallo-verde. Un incipit che «è stato positivo», come ha fatto presente poco prima: «Li conoscevo poco e penso che anche loro conoscessero poco me e la Lega. Abbiamo dato dimostrazione all'Italia che il Parlamento può mettersi d'accordo in fretta».

L'apertura al governo con Luigi Di Maio è ormai palese: «Sono le cose da fare quelle su cui vedere se c'è un punto di incontro o no» afferma, in tono concreto. Poi auspica: «Può esserci o non esserci e io mi auguro che ci sia». E se di sostanza si deve parlare, l'apertura non è solo politica, ma anche sui programmi: «Se il reddito di cittadinanza fosse uno strumento per reintrodurre nel mondo del lavoro chi oggi ne è uscito, allora sì», troverebbe d'accordo anche la Lega. Il discorso a margine coincide con l'atteggiamento in aula: Salvini annuisce durante l'intervento di Patrizia Bedori, ripetendo con il labiale l'ultima parola della sua frase: «Democrazia».

Seduto su quello stretto banco non resta più di un'ora. Dopo aver sbrigato alcune faccende con le sue segretarie, Salvini scappa dall'uscita di Piazza San Fedele, con il volto disteso di chi è riuscito a chiudere almeno la partita delle Camere. Fra qualche giorno l'uscita laterale sarà quella di piazza Navona.

O di Piazza Colonna.

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