Mimmo di Marzio
Dalle Quattro Stagioni di Vivaldi a 'O sole mio parrebbe un salto quantico, in realtà può essere un passo brevissimo per un compositore che alla genialità unisce il cuore e il talento orchestrale. Sandro Cerino, 35 anni di carriera sui palcoscenici di Milano e del mondo, torna finalmente in scena per il suo nuovo grande progetto musicale che debutta lunedì sera al Piccolo Strehler. Il titolo è «La mia Napoli», omaggio alla tradizione della sua città natale ma inevitabilmente rivisitato in chiave jazz e classica, che vedrà il saxofonista sul podio della Civica Jazz Band diretta da Enrico Intra. Alla voce Laura Fedele, napoletana d'adozione. Una nuova importante sfida per un musicista che ha fatto della ricerca e delle contaminazioni il proprio credo fin da quando, all'inizio degli anni Ottanta, decise di sbarcare a Milano «perchè qui e non a Roma (e neppure a Napoli) sono sbarcati i grandi maestri del jazz, da John Coltrane a Bill Evans, da Bud Powell a Gerry Mulligan». Ma chi ascolta i suoi dischi - una settantina includendo le collaborazioni - si rende immediatamente conto che catalogare Cerino nella torre d'avorio del jazz è di certo riduttivo. Le sue Quattro Stagioni - andate in scena in due memorabili concerti alla Sala Verdi del Conservatorio e all'Auditorium con la collaborazione dell'orchestra barocca di Ruben Jais - sono il chiaro esempio di una cultura e versatilità che spazia dalla classica alla musica latin. «Se dovessi fare una classifica dei miei compositori preferiti, al primo posto metterei Stravinsky», puntualizza. Proprio quel disco, pubblicato nel centesimo numero della prestigiosa rivista di classica Suonare news, ha sancito definitivamente la vocazione orchestrale di un artista che iniziò la sua carriera girando per i locali di Milano con il sax in spalla. Scoperto dal critico Franco Fayenz nell'82, iniziò o ad affermarsi come solista nei maggiori festival jazzistici - Umbria Jazz '82, Clusone '83, Padova '84, Milano '85 - collaborando con musicisti di primo piano stranieri ed italiani tra cui Brown, Dennard, Dietrich, Prina, Tavolazzi, Rusca, Gambarini, Ottaviano, Fassi, Cappelletti. «Fondamentale è stato però per me l'incontro con l'indimenticabile clarinettista americano Tony Scott, con cui ho fatto molte tournée e che considero un padre putativo» ricorda Cerino. Erano gli anni in cui Milano era una capitale europea del jazz, con palcoscenici irripetibili come il Capolinea o Le Scimmie, e maestri del calibro di Giorgio Gaslini, Franco Cerri, Mario Rusca e lo stesso Intra. «Gli anni Ottanta avevano un clima effervescente - ricorda Cerino- si saliva sul palco e scattavano le jam session, accorgendosi di avere al fianco star internazionali come Lee Konitz...».
Gli ultimi anni hanno visto il compositore napoletano impegnato in un progetto didattico a sfondo sociale di grandi potenzialità, l'Orchestra dei Popoli. «Iniziai a lavorare al Conservatorio con un gruppo di giovanissimi musicisti di strada, in gran parte rom. Un'esperienza toccante che mi ha aperto un mondo sulle possibilità artistiche e di integrazione di ragazzi altrimenti abbandonati alla strada, e che si è concretizzato con un concerto alla Sala Verdi. Fu un successo». In attesa di riprenderne le fila, Cerino è pronto a una sfida difficile, quella con la tradizione musicale napoletana.
«È la musica più famosa in tutto il mondo e rivisitarla a modo mio potrebbe apparire velleitario. Accetto il rischio però, anzi suonerò con l'orchestra proprio i brani più celebri, da 'O paese d'o sole a Reginella». Conoscendolo, merita più che una chance...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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