Luca Fazzo
Non ci si poteva aspettare nulla di meno. «Io ho molta nostalgia per la presenza di Riccardo De Corato in consiglio comunale, e credo non sia giusto che non siano i cittadini ma un aspetto tecnico a impedire che ci sia una rappresentanza in consiglio comunale». Parola di Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale, candidato sindaco per la sinistra-sinistra, davanti al rischio che Fratelli d'Italia sia esclusa dalle elezioni. Parole che possono stupire solo chi non conosce la lunga storia che accomuna Rizzo e De Corato. Cosa sarebbe stata senza quei due la cronaca politica nella «Milano da Bere» degli anni Ottanta? Se in quel conformismo all'odore di rucola e di edonismo reaganiano, di mattoni e di affari, non ci fosse stato qualcuno a Palazzo Marino capace di frugare nei retrobottega dell'amministrazione, portandone a galla le magagne e a volte i crimini?
La strana coppia era composta da due che più diversi non potevano essere: uno, Basilio, un milanese laureato in fisica, cresciuto nelle file della sinistra extraparlamentare; l'altro, Riccardo, un pugliese di Andria salito al nord giurando di non perdere l'accento, e cresciuto a pane e neofascismo, dirigente della Giovane Italia e poi del Fronte della Gioventù. Sbarcarono a Palazzo Marino a due anni di distanza: Rizzo nel 1983, ereditando da Guido Pollice il banco di Democrazia Proletaria; De Corato nel 1985, eletto nelle file del Movimento sociale, in anni in cui a Milano gli slogan delle piazze avevano da poco smesso di gridare che «uccidere un fascista non è reato».
Insomma, era difficile che tra i due scoppiasse l'amore a prima vista. Ma dai loro banchi ai lati opposti dell'emiciclo, il compagno e il camerata capirono in fretta che a loro due, e solo a loro due, toccavano il peso e il privilegio di fare davvero opposizione, in una città dove la cosiddetta «urbanistica contrattata», ovvero gli accordi pubblici e sotterranei tra politica e mattone, produceva varianti spericolate e arricchimenti a innumerevoli zeri. Erano gli ultimi, e meno luminosi, anni della giunta socialcomunista Tognoli-Quercioli, quelli in cui a decidere il destino delle aree era una zarina rossa dell'Urbanistica. Ne accadevano, oggettivamente parlando, di tutti i colori. E non cambiò granché con il ribaltone che riportò a Palazzo Marino la Dc, rispedendo i comunisti all'opposizione.
Per capire quanto sia naturale e persino ovvia, oggi, la discesa in campo di Rizzo a favore di De Corato, basta andarsi a rileggere i giornali di quegli anni. Mozioni, comunicati stampa, esposti alla Procura. A volte in coppia, a volte separati, ma sostenendosi a vicenda, l'ultrà di sinistra e il missino venuto dal sud furono di fatto l'unica opposizione. E i pochi cronisti che avevano voglia di rompere qualche uova nel paniere (pochi, perché anche i giornali erano coinvolti in quell'allegro clima di laissez faire) sapevano che solo da Rizzo e De Corato potevano farsi passare il documento giusto, nascosto tra i mucchi di fascicoli monumentali e incomprensibili.
Il marcio che poi venne a galla con Tangentopoli, l'avevano visto con buon anticipo. «Non ci voleva un aquila, molto era sotto gli occhi, bastava voler guardare», ha raccontato un giorno De Corato. «Certo, poi ci voleva anche il coraggio di denunciare. Per me, che stavo fisso all'opposizione, era facile. Ma Basilio ai tempi della giunta rossa veniva guardato come un traditore».
Poi vennero anni più
difficili, che spedirono i due su fronti opposti: De Corato che diventa vicesindaco; poi torna a fare opposizione, ed è Rizzo ad andare al potere. Ma hanno continuato a rispettarsi. In fondo, è una storia di bella politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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