Una decina di zingari hanno prima tentato di rubare le slot machine dal bar, poi hanno chiesto 500 euro al titolare cinese, quindi hanno malmenato lui e la figlia e infine uscendo hanno mandato in frantumi la vetrata del locale. Non contenti, quando le volanti sono andati a prendere due di loro, hanno assediato il bar per «convincere» l'asiatico a ritirare la denuncia. Obbligando così la polizia a un secondo intervento per impedire rappresaglie. Gli arresti sono stati convalidati e il magistrato ha deciso che i due attendano il processo in cella.
Un'aggressione di una protervia e di una sicurezza dell'impunità come raramente si era vista prima. Non è infatti la prima volta che i «soliti ignoti» rubano le macchinette mangiasoldi. Ma di notte e con la sicurezza di rimanere «ignoti», mica in pieno giorno e per di più sapendo benissimo di venire riconosciuti. Gli aggressori fanno infatti parte del clan che si è installato in via Selvanesco, periferia sud della città. Sono una trentina, non certo tranquilli e il quartiere ormai non li sopporta più, ma non è facile sloggiarli da lì, perché il terreno dove hanno tirato su alcune baracche è di loro proprietà. Forse proprio perché sanno di avere una sorta di «enclave» da cui nessuno può cacciarli, l'altro giorno hanno tentato un raid in un bar nella vicina via Saponaro gestito da un cinese di 48 anni, di cui tra l'altro sono clienti fissi.
Verso le 17 il gruppo di zingari è entrato nel bar e ha puntato dritto alle slot. Senza tanti complimenti gli uomini hanno tentato di portar via le macchine sotto gli occhi sbalorditi della figlia del titolare, una ragazza di 19 anni. La ragazza ha tentato di fermarli e per tutta risposta i rom l'hanno riempita di schiaffoni. Subito dopo è intervenuto anche il padre a cui i ladri hanno riservato lo stesso trattamento. E tra una sberla e l'altra gli hanno intimato di consegnare 500 euro per evitare il peggio. I cinesi hanno resistito e loro, consapevoli di non poter trascinare troppo a lungo la sceneggiata, hanno mollato la presa. Ma prima di andarsene, giusto per far capire chi fossero, hanno mandato in frantumi la vetrata.
Di lì a poco è arrivata una prima volante, gli agenti hanno visionato le riprese delle telecamere, riconosciuto un paio di aggressori e deciso di andarli a prendere. Non prima di aver chiamato i rinforzi. Sono arrivati così un altro paio di equipaggi, Angelo de Simone, dirigente del commissariato Scalo Romana con una decina di suoi uomini, quindi l'irruzione. Di fronte a una quindicina di poliziotti i nomadi si sono fatti meno spavaldi, anzi i due ricercati, Bronzo Salkanovic, 40 anni, e Elvedin Sulejmanovic, 35 sono stati rintracciati, rintanati nell'intercapedine di una baracca, e portati via.
Ma non era finita. Gli altri complici sono tornati dalle loro vittime, assediandole all'interno del locale fino a quando non è tornato il dirigente del commissariato che li ha riportati a più miti consigli.
Nel frattempo Salkanovic e Sulejmanovic sono andati in udienza. Il magistrato ha convalidato il loro arresto negandogli la libertà provvisoria. I due accusati rimarranno ad attendere il processo nel carcere di San Vittore.
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