di Daniele Abbiati
Roma è talmente bella che andarci è sempre un privilegio, soprattutto se arrivi da Milano. Però bisogna scegliere bene il giorno per andarci. Domani, per esempio, sarà uno di quei giorni da «bollino rosso», peggio che al casello di Melegnano l'1 agosto di uno qualsiasi degli anni Ottanta. È infatti attesa, lo sanno tutti, una violenta perturbazione in bianco e nero che stonerà con i dolci colori pastello dell'Urbe. Il rosso infuocato del tramonto arriverà, certo, verso le 21, quando però sul verde dell'Olimpico sarà probabilmente già accaduto l'inevitabile. Mi vedo la scena: lancio fulmineo di Pogba nel cuore dell'area milanista, capocciata tonante di Mandzukic, scivolata fuori tempo di Romagnoli, e Dybala che scuote, con il maestrale del suo piedino sinistro, la rete del povero Gigetto Donnarumma, lasciato solo come un liceale nella tempesta, all'uscita da scuola, senza ombrello...
Ma dove finisce un incubo, diceva quel tale, incomincia un sogno. Per cui io, tuo ammiratore da lontano, da Porta Vittoria, per la precisione, zona che pare fuori luogo, viste le circostanze, mi appello a te, amata Roma. Domani sera non dovrai dar retta a Rugantino, dovrai farla, la stupida, con i gitanti sabaudi, dovrai sorprendermi in diretta su Raiuno, con la cotoletta che mi ballerà nello stomaco, dovrai far girare la testa agli juventini tutti, ammaliarli, insufflare nelle gambe delle saette Cuadrado e Alex Sandro un po' di soporifero ponentino, sussurrare qualche parolina dolce alle orecchie del tronista Morata e del truce Chiellini, e soprattutto chiedere a Neto, portinaio di complemento nel solidissimo stabile amministrato da Max Allegri, di offrirti un aperitivo da sorseggiare con calma, con moltissima calma.
Domani sera, te lo prometto, non sarò geloso delle tue ottobrate odorose, del tuo incedere da matrona sexy. Concediti loro generosamente, com'è tuo costume, in tutto il tuo splendore (ma soltanto dalle 20,45 alle 22,30). Accavalla come sai le gambe del Pantheon e di Piazza Navona, lascia sapientemente cadere una spallina a Porta Portese, spalanca gli occhi della fontana di Trevi e della Barcaccia, mormora parole dolci come il Tevere che abbraccia la sua isola. Fallo per me, fallo per noi, milanisti che scenderemo da te come barbari disperati non per fare un sacco, ma per prenderlo nel sacco.
Ecco, è finito anche il sogno. È morto all'alba di oggi, 20 maggio, giorno infausto, nel calendario rossonero. E torna l'incubo. Oggi infatti cade il 43º della «fatal Verona», funerale calcistico che ci piombò addosso in una stagione altrimenti destinata al Triplete che allora, nel '73, si sarebbe chiamata «tripletta», con la minuscola. Lulù Chiarugi, il mercoledì prima, a Salonicco ci aveva fatto brindare nella Coppa delle Coppe, colma di un retsina traditore che ci stese nemmeno fossimo ragazzini alla prima sbornia. Soltanto Cesarone Maldini e Paron Rocco, uomini di mondo, lo ressero. Gli altri, al Bentegodi, non stavano in piedi, e andò come andò. Ovviamente a vantaggio dei soliti noti, sempre loro.
Però... però...
Sai che cosa accadde, Roma bella, l'1 luglio seguente? Salimmo sui treni e sulle Cinquecento, partimmo da Porta Romana e da Lambrate, da Baggio e dalla Comasina, con i pantaloni a zampa d'elefante e con i baffi alla Benetti, con i panini preparati dalle mamme, dalle moglie e dalle fidanzate e con qualche fiasco di vino, e con le bandiere fatte in casa, quelle pre-marketing. Venivamo da te, proprio per la finale di Coppa Italia, come verremo domani. Ti vedemmo e fu amore a prima vista. Prima, durante e soprattutto dopo i tre rigori sbagliati da Anastasi, Bettega e Spinosi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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