«Sì, ho ucciso io Beatrice L'imam mi manda da voi»

«Sì, ho ucciso io Beatrice L'imam mi manda da voi»

Pentito e consigliato dal suo imam, si è costituito il pirata della strada che la settimana scorsa ha falciato un'adolescente a Gorgonzola. Si tratta di un marocchino di 39 anni su cui i carabinieri avevano ormai stretto il cerchio. Ma le sue motivazioni non convincono il padre della vittima: «Si pente dopo sette giorni? Dopo aver nascosto l'auto e buttato il vecchio cellulare? Ci credo poco».
Rimorso o furbizia, se la vedrà ora con la sua coscienza Gabardi El Ahabib, regolare, commerciante ambulante di abbigliamento. L'uomo non ha precedenti, se si escludono piccole infrazioni legate alla sua attività. Sposato si è poi separato e la moglie è andato a vivere in provincia di Biella insieme al figlio di 7 anni. Lui è rimasto solo a Roncello, dove appunto stava rientrando mercoledì attorno a mezzanotte. Arrivato a Gorgonzola, è piombato sulle bicicletta di Beatrice, 16 anni, e del cugino Giovanni, 18, intenti ad attraversare la strada statale Padana Superiore. Il veicolo del marocchino, una Peugeot Ranch, schiva il ragazzo ma falcia l'adolescente che rimane sull'asfalto. L'automobilista fugge, dopo poco arrivano i soccorsi, tra loro anche il padre della vittima, volontario del 118. Beatrice viene portata in ospedale, dove muore poco dopo.
Le indagini per individuare l'assassino vengono affidate ai carabinieri di Cassano D'Adda. Il capitano Camillo Di Bernardo insieme ai suoi collaboratori recuperano un specchietto e i frammenti di un fanalino e di uno spoiler che lasciano pensare a una vecchia Ranch oppure un Citroen Berlingo blu, due veicoli identici in quanti i marchi appartengono allo stesso gruppo. Le immagini delle telecamere in zona confermano modello e colore, senza però lasciar intravedere il numero di targa. Iniziano gli accertamenti su quel tipo di vettura tra Milano e Bergamo mentre partono anche gli accertamenti sulle migliaia di telefonini agganciati dalla cella di Gorgonzola. Un lavoro lungo e meticoloso interrotto martedì poco dopo le 23, quando Gabardi suona alla porta della compagnia insieme al suo avvocato.
«Sono stato io. Non ho visto i due ragazzi e quando ho sentito l'urto non ho capito bene cosa fosse successo. Non mi sono fermato anche perché il veicolo non aveva fatto la revisione e l'assicurazione non avrebbe risposto dei danni. Ho saputo della morte della ragazza solo il giorno dopo dalla televisione. Macerato dal rimorso mi sono confidato con l'imam della moschea di Pioltello che mi ha suggerito di costituirmi». Agli investigatori spiega di aver nascosto l'auto in un parcheggio di via Frigia dove verrà poi recuperata. È ammaccata sul fianco destro, il parabrezza incrinato e manca proprio dei pezzi rinvenuti sul luogo dell'incidente. L'uomo ha in tasca un cellulare nuovo con un scheda appena attivata. Gli chiedono di quello vecchio, lui rimane sul vago.


Particolari che fanno dire a Nerio Papetti, padre della vittima: «Nasconde l'auto e getta il vecchio telefono? No, non voglio sentir parlare di scuse, né di rimorsi, voglio sia fatta giustizia. Non voglio che accadano più simili tragedie - conclude Papetti - o almeno che si tenti di non farle accadere più».

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