Cronaca locale

San Vittore intitolato al maresciallo ucciso dalle Brigate rosse

Francesco Di Cataldo fu assassinato nel 1978. Aveva cominciato a far lavorare i detenuti

San Vittore intitolato al maresciallo ucciso dalle Brigate rosse

Cadde all'incrocio tra via Ponte Nuovo e via Cairoli, di fronte alla sua casa a Crescenzago il maresciallo maggiore Francesco Di Cataldo, freddato alle 7,15 da un commando delle Brigate Rosse in quei terribili Anni di piombo. Era il 20 aprile del 1978, poco più di un mese dopo il rapimento di Aldo Moro due uomini (altri due intanto attendono in macchina, una Fiat 128) compiono l'esecuzione del vice comandante del carcere milanese di San Vittore: due colpi calibro 7,65 alla testa, quattro alla schiena, uno al braccio. Non lo guardano nemmeno negli occhi, verdi e azzurri. Lo massacrano alle spalle. Mentre le Br tenevano prigioniero Moro in condizioni che non si possono definire certo democratiche, eliminavano l'uomo che stava cercando di portare innovazioni di valore democratico e civile dentro San Vittore che ora è stato a lui dedicato.

La casa circondariale di piazza Filangieri oggi si chiama «Francesco Di Cataldo» in ricordo di un uomo che riposa nel colombaro 209 del «Reparto E» del cimitero di Lambrate, sotto l'imperitura memoria del martirio politico che negli anni Settanta ha consegnato molte vite a destini tragicamente eroici nel cuore della gente e privi di oblio nella mente. Nonostante siano passati quasi quarant'anni da quella esecuzione, San Vittore non ha mai smesso di essere legato a Di Cataldo, nato a Barletta il 20 settembre 1926 e arrivato al carcere milanese nel 1951, dove ricoprì due cariche: vicecomandante del penitenziario e direttore del centro clinico dello stesso carcere. Mansione, quest'ultima, acquisita dopo molti studi.

Nel giorno del suo funerale tra le corone di fiori apparve anche quella dei detenuti che per donare il presente, prima volta nella storia, fecero una colletta. E fazzoletti bianchi di un addio in lacrime sventolavano intanto fuori dalle celle. Bastano queste due immagini per raccontare il rapporto tra lui e i carcerati, due immagini che potrebbero essere contemporanee, viste le innovazioni che oggi, giorno dopo giorno, si tenta di compiere dentro al carcere, mondo sempre più aperto e sempre meno invisibile agli occhi di chi sta fuori.

Soprattutto il sangue di chi è caduto sotto gli occhi dei figli, lungo una via tranquilla di Milano in una mattina di primavera, contribuisce a rendere il carcere meno invisibile e più trasparente, per continuare ad applicare regole evolute che rendano la pena un'esperienza costruttiva. Tutti principi che Di Cataldo aveva non solo intuito ma messo in pratica, tanto che il 15 giugno 2004 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la medaglia d'oro al merito civile alla memoria. A lui, il 20 aprile 2013, fu anche intitolato un parco cittadino vicino alla sua abitazione.

La colonna Walter Alasia delle Brigate Rosse che rivendicò l'omicidio, è stata giudicata nell'ambito di un maxiprocesso collettivo tenutosi nel 1984. Alle centododici persone legate alla colonna venne inflitta una condanna complessiva a 19 ergastoli e 840 anni di carcere.

Ci furono anche alcune assoluzioni.

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