Sant'Ambrogio piena per De Albertis

Folla per l'ultimo saluto al costruttore. Il vescovo De Scalzi: «Era mite e generoso»

Sabrina Cottone

Era un uomo amato e stimato, Claudio De Albertis. Lo senti nella basilica piena, stracolma, davanti alla bara di legno chiaro ricoperta di fiori bianchi, con la gente in piedi in fondo e lungo le navate come se fosse la messa di Pasqua. Un po' lo è nelle parole dell'abate di Sant'Ambrogio, il vescovo Erminio De Scalzi: «Claudio è vivo nel Signore. Lo rivedremo». Un'omelia che ricorda «una persona cara» e non solo ai suoi più stretti familiari.

In prima fila, il sindaco, Beppe Sala, il vicesindaco Anna Scavuzzo, gli assessori alla Sicurezza Carmela Rozza e alla Cultura, Filippo Del Corno, il presidente della Regione, Roberto Maroni, il prefetto, Alessandro Marangoni. E poi ancora, in mezzo alla gente, si riconoscono Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, l'ex vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, l'ex ministro Maurizio Lupi, il volto in lutto di Alba Parietti, mentre tanti altri si confondono con gli occhi bassi tra le panche.

Claudio De Albertis, morto a 66 anni venerdì scorso dopo aver a lungo combattuto contro il cancro («il timore più grande che abbiamo forse non è morire ma soffrire» dice De Scalzi) lascia anche coloro che sembra tanto più innaturale che ne piangano la morte: la madre e il padre. Mamma Renata, donna forte e intelligente, ricca di anni e di fede, donna dalla messa quotidiana, la ricorda l'arciprete, e papà Edoardo. E «i figli Regina ed Edoardo con la mamma, la compagna Sonia e le sorelle». Poi tutti coloro che lo avevano conosciuto o anche solo incontrato. «Era davvero un gentiluomo, uno dei pochi rimasti» è la frase che si sente ripetere più spesso nel portico, alla fine della celebrazione.

Anche alla Triennale, nel Salone d'onore, domenica scorsa tante persone si sono messe in fila per salutarlo. Si era parlato di lui come candidato sindaco a Palazzo Marino, era un liberale di centrodestra, eppure la stima per lui era trasversale e molti si sentivano rassicurati dai tanti ruoli importanti che ha ricoperto all'Assimpredil e all'Ance, con i costruttori edili, alla Camera di commercio, nei consigli d'amministrazione, al Sostentamento del Clero.

«Era in dialogo cortese sempre con tutti» ricorda ancora De Scalzi, abituato a lunghi colloqui anche nei tempi difficili della malattia, quando la ricerca di senso si era intensificata e fatta più dura. Era «un parrocchiano, vicino alla basilica, di umanità, generosità e intraprendenza profonde», lo onora il vescovo. Aveva contribuito a costruire il padiglione della Santa Sede in Expo e a tante altre opere sulle quali aveva preferito mantenere «riservatezza».

Come imprenditore «ha chiesto regole chiare contro la malattia morale che definiva opacità di tante imprese costruttrici».

E ancora: «Era un uomo mite in una società in cui la mitezza richiede un urgente riabilitazione. Il mite non è un perdente, è un uomo forte, capace di affrontare le prove in modo non aggressivo».

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