«Sei anni e mezzo di carcere per il pugile arruolato dall'Isis»

La richiesta di condanna dei pm per Moutaharrik: «Era pronto a compiere un attentato suicida in Italia»

Cristina Bassi

Sei anni e mezzo di carcere per Abderrahim Moutaharrik, il cosiddetto «pugile dell'Isis», e per la moglie Salma Benkarchi. Sono le richieste dei pm Enrico Pavone e Francesco Cajani per la coppia di marocchini residenti a Lecco accusati di terrorismo internazionale e di legami con l'Isis. Insieme a loro sono a processo per le stesse accuse con il rito abbreviato, davanti al gup Alessandra Simion, altri due marocchini residenti tra la provincia di Varese e il Lago Maggiore. Sono Abderrahmane Kachia, fratello di un foreign fighter morto in Siria (chiesti 6 anni), e Wafa Koraichi, sorella di un aspirante «martire» di Allah (chiesti 3 anni, sei mesi e 20 giorni). La Procura ha inoltre sollecitato per Moutaharrik e la moglie la decadenza della potestà genitoriale: avrebbero voluto portare con sé nel Califfato i figli di due e quattro anni. La sentenza è prevista per il 14 febbraio.

Secondo l'accusa, Moutaharrik, 28enne campione di thai boxe, sarebbe la figura chiave della presunta cellula terroristica con base in Lombardia. I quattro marocchini imputati, arrestati lo scorso aprile, ieri hanno seguito l'udienza a porte chiuse e sono intervenuti in videoconferenza, collegati dalle carceri in cui sono detenuti. Il pugile era, da quanto ricostruito dagli inquirenti, pronto a farsi esplodere in nome dell'Isis in un luogo simbolo di Roma, in Vaticano o all'ambasciata d'Israele. Le indagini della Digos hanno rivelato che poco prima dell'arresto l'uomo era vicino a entrare in azione. Aveva infatti ricevuto la «tazkia, il nulla osta per entrare in Siria e per essere arruolato nelle file di Al Baghdadi. Il suo contatto con l'Isis sarebbe stato Mohamed Koraichi, fratello di Wafa, colpito da un ordine di arresto e latitante dal gennaio del 2015. È allora che l'uomo lasciò Bulciago, paese in provincia di Lecco dove risiedeva da anni, per raggiungere i territori dello Stato islamico. Koraichi portò con sé la moglie italiana Alice Brignoli, convertita all'Islam con il nome di Aisha, e i tre figli di sei, quattro e due anni. «Se fai un attentato, è una cosa grande», esortava l'amico Moutaharrik in una telefonata intercettata. Poi il soldato dell'Isis avrebbe inviato via WhatsApp al pugile lecchese il cosiddetto «poema bomba», un ordine a compiere un attentato in Italia, con le relative istruzioni, scritto da un emiro del Califfato: «Ascolta lo Sceicco, colpisci! (...) - dicono i versi - fai esplodere la tua cintura nelle folle dicendo Allah Akbar». E il 28enne assicurava: «Giuro, sarò io il primo ad attaccarli (...) in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l'attacco, nel Vaticano». Gli investigatori avevano anche trovato sotto il letto dell'imputato un «pugnale da combattimento», simile a quelli usati dall'Isis nei video degli sgozzamenti di «infedeli».

Il difensore di Moutaharrik, l'avvocato Sandro Clementi, ha sostenuto chiedendo l'assoluzione che «non è stato provato e va provato anche in questo processo» che l'Isis sia una «organizzazione terroristica. Non basta che sia nella black list internazionale». Inoltre, ha continuato, «ci sono articoli nei quali si legge che il sedicente Stato islamico è un prodotto degli Usa». L'avvocato Luca Bauccio, che assiste Kachia, ha sottolineato come negli atti non venga contestata alcuna «attività preparatoria». Nelle proprie dichiarazioni spontanee invece Wafa Koraichi ha spiegato in lacrime di non far parte di alcuna organizzazione terroristica: «Sono innocente, il mio stile di vita è diverso dai terroristi».

E Salma Benkarchi, la moglie del pugile difesa dall'avvocato Carlo Corbucci, che al momento del programmato viaggio in Siria era incinta del terzo figlio: «Amo mio marito. Ha commesso solo una leggerezza, voleva partire per la Siria. Ma una volta là io lo avrei convinto a tornare».

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