Cronaca locale

Ma serve ancora il pavè?

Anno nuovo strade vecchie. Passano le estati, si alternano giunte e assessori ma uno dei mali endemici della viabilità meneghina resta tale e quale. Parliamo del pavè, lo storico lastricato che ricopre a macchia di leopardo chilometri di vie cittadine e che, malgrado i periodici (ma scarsi) tentativi di manutenzione, ad ogni anno appare sempre più malconcio. Il reportage fotografico è eloquente di un degrado che è abitualmente sotto gli occhi dei passanti ma, soprattutto, sotto le ruote di ciclisti e centauri. Lastroni sollevati come fauci di coccodrillo, fughe spalancate che assomigliano a voragini pronte a ghermire ruote e caviglie, rappezzamenti che fanno debordare il bitume costituendo ulteriori inciampi e poi ibridi stradali simili a patchwork che intrecciano asfalto, pezzi di granito e rotaie morte. Ciò è come appare l'amato suolo cittadino, dal centro storico fino ad oltre la cerchia dei navigli senza, o quasi, soluzione di continuità. Un degrado che pare ormai sempre meno gestibile anche per ragioni di costi, e diventa più minaccioso ad ogni rovesciamento climatico trasformando molte strade - anche le più blasonate - in percorsi accidentati degni di una mulattiera di montagna. Oggi come oggi, a voler metterci mano, non si saprebbe da che strada cominciare tanto che da più parti, ormai da tempo, si levano gli inviti a soluzioni drastiche. Eppure una triste classifica è possibile farla almeno a grandi linee, basta percorrere - come il nostro fotografo - le principali vie che si diramano dal Duomo. A cominciare da via Torino che, per due chilometri fino a Porta Genova, rende il transito quasi impraticabile a scooter e biciclette, la maggioranza delle quali opta per gli illegittimi ma meno rischiosi marciapiedi. Ma si tratta di una situazione quasi idilliaca rispetto ad altri tratti. Prendiamo ad esempio i 750 metri che, sempre partendo da centro, congiungono via Broletto a via Cusani, cioè l'unica via possibile per chi volesse raggiungere il Castello senza inforcare la pedonale via Dante. Qui il pavè è perennemente sconnesso, aggravato dalle rotaie del tram che lasciano ai cicli pochissimo spazio dal marciapiede. La situazione certo non migliora se, partendo da via Mazzini, si vuol percorrere la via fino a piazza Missori che si biforca tra corso di Porta Romana e Corso Italia, per due chilometri fino a piazza medaglie d'oro, fra pezzi di granito irregolari e aggrovigliate intersezioni di rotaie. Ben peggiore, se possibile, è il “camel trophy” che si affronta nel chilometro e mezzo che unisce piazza Cordusio a piazzale Baracca passando da via Meravigli e corso Magenta, un percorso irto di insidie con punti in cui le mattonelle si sollevano in modo quasi criminoso: all'incirca come avviene nel tratto che collega ancora Cordusio con piazza Scala passando da via Tommaso Grossi. Ciclisti e scooter sono costretti a slalom tra sobbalzi appena mitigati dai pezzi asfaltati che si intersecano qua e là. Ma il fondo, in assoluto, è quello che si tocca sul lastricato che, sempre nel cuore della città, ricopre il percorso tra via Monte di Pietà e via dell'Orso: 550 metri letteralmente impraticabili a causa dei solchi del pavè allargatisi, nel corso degli anni, soprattutto lungo gli inutilizzati binari del tram.

La manutenzione? Di tanto in tanto sporadici interventi estivi e, a mali estremi, vigili piantonati a salvaguardia di morti annunciate. Fino a quando?

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